Ho sotto gli occhi una foto pubblicata sul sito del Washington Post. La foto ritrae una folla esclusivamente maschile. Numerose braccia sono alzate (c'è qualcuno, in basso a destra, a cui manca un pezzo di anulare della mano sinistra), gli sguardi sono intensi, le barbe numerose. Portate dalla folla, si vedono diciannove bandiere a strisce orizzontali azzurre e rosse, con una scritta bianca nella striscia centrale, due bandiere bianche e nere, sette bandiere azzurre e verdi. Al centro della foto un ragazzo coi baffi il cui volto è parzialmente nascosto da altre braccia, con una camicia bianca e una giacca nera nonché un braccialetto nero, porta con la mano sinistra un manifesto in cima a un bastone che emerge dalla marea di teste. Il manifesto è a base azzurra, con una piccola striscia rossa orizzontale in basso. Sull'azzurro appare il volto di un uomo di una trentina d'anni, con barba ma senza baffi, con un berretto nero in testa e quella che sembra una giacca a vento blu. La foto è stata presa leggermente dal basso. L'uomo non ha espressione, sembra immobile. Guarda e basta. Sotto di lui c'è una scritta gialla. Più sotto ancora, nella striscia rossa del manifesto, c'è un'altra scritta, bianca, che forse è la stessa che appare sulle bandiere dello stesso colore. Dico forse perché si tratta di scritte in caratteri arabi, difficili da decifrare quando sono scritti in modi stilisticamente così diversi. La didascalia del Washington Post mi dà varie informazioni. Prima di tutto la foto è stata scattata il 14 gennaio, cioè l'altro ieri, da tale B.K. Bangash, dell'Associated Press, a Rawalpindi, in Pakistan. Su un'altra pagina internet ho potuto vedere la faccia di B.K. Bangash, sorridente. Occhi scuri, barba grigia ben curata, sguardo caloroso. Il fotografo, ho letto, è nato nel 1959 e dopo aver fotografato molti avvenimenti sportivi ha seguito la guerra civile in Ruanda e poi la guerra in Afghanistan. Altra informazione della didascalia: il giovane che appare sul manifesto tenuto dal manifestante coi baffi si chiama Mumtaz Qadri. La cosa mi sorprende perché credevo che Mumtaz fosse un nome femminile. Ma mi sbagliavo: Wikipedia mi dice non solo che è sia maschile che femminile, ma anche che significa “il migliore”. Non posso non dirmi che Mumtaz sembra essere un po' il corrispondente arabo di Massimo. La didascalia mi dice anche che la scritta (immagino quella gialla) sul manifesto dice “salutiamo il tuo coraggio”. Di Mumtaz Qadri non avevo memorizzato il nome, ma avevo letto qualche giorno fa, quando aveva assassinato Salman Taseer, governatore della provincia pakistana del Punjab, che si era opposto alla legge che prevede la pena di morte in caso di bestemmie. Salman Taseer era membro del PPP, il Pakistan Peoples Party, che è poi il partito fondato nel 1967 da Zulfikar Ali Bhutto, presieduto più tardi da sua figlia Benazir e oggi dal suo vedovo, nonché presidente del paese, nonché miliardario, Asif Ali Zardari. Sempre dalla didascalia vengo a sapere che la folla non manifestava solo a favore dell'assassino, ma anche contro le dichiarazioni di Benedetto XVI, che aveva invitato il governo pakistano ad abrogare una legge che “serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose”. Pur se non con le stesse parole, mi accorgo che una volta tanto il Papa sembra aver detto una cosa sulla quale mi trovo genericamente d'accordo. La foto è stata presa da lontano, con un teleobiettivo. Lo si capisce dal fatto che solo la zona in primo piano è a fuoco, mentre tutto il resto è sfuocato. Il fotografo si trovava forse su un albero, sul tetto di un autobus, o alla finestra di un primo piano. A meno che non si trovasse su una tribuna dalla quale il probabile oratore verso il quale sembrano diretti quasi tutti gli sguardi forse arringava la folla. La foto non è scaricabile, ed è per questo motivo che non ho potuto inserirla all'inizio di questo post. Cercando un'altra foto ho letto che la manifestazione era stata organizzata dal Sunni Tehereek, un partito fondamentalista sunnita fondato nel 1992, che aveva avuto il 3% alle elezioni del 2002 nella stessa Karachi, mentre non si è poi presentato a quelle del 2008, sostenendo di non disporre di opportunità uguali a quelle degli altri partiti. Allego una foto dell'assassino al momento dell'arresto.
Tutta questa storia ha come origine la condanna a morte in prima istanza (novembre 2010) di Asia Bibi, una contadina cristiana madre di cinque figli, originaria del distretto di Shekhupura, nel Punjab. Famiglia cristiana del 25 novembre scorso scriveva:
“I fatti risalgono al giugno 2009. Fa caldo. Alla donna, che lavora in un'azienda agricola, viene chiesto di portare dell’acqua alle sue colleghe. Ma un gruppo di loro, musulmane, trova da ridire: Asia Bibi non prega Allah, non segue il Corano, lasci perdere perché è destinata a rendere impuri sia il recipiente che l'acqua. Ne nasce un vivace botta e risposta. Le donne musulmane cercano di convincere Asia ad abiurare il cristianesimo e a convertirsi all’Islam. Bibi tiene il punto, spiega che Gesù Cristo è morto sulla croce per redimere i peccati di tutta l’umanità e chiede: «Cos'ha fatto per voi Maometto?».Alcuni giorni dopo le donne islamiche vanno dall’imam locale, la cui moglie fa parte del gruppo, accusando Asia Bibi di aver offeso il profeta Maometto; l’imam si reca dalla polizia che apre un’inchiesta. Asia Bibi è arrestata nel villaggio di Ittanwalai, accusata di aver violato la legge 295c (quella, appunto, sulla blasfemia), che non prevede - per chi accusa - l'onere di provare ciò che dice e che contempla nei casi estremi la condanna a morte. La sentenza, emessa più di un anno dopo, è pronunciata dal giudice Naveed Iqbal che esclude «totalmente» la possibilità che Asia Bibi sia accusata ingiustamente e dice che «non esistono circostanze attenuanti» per lei.” Cercando Asia Bibi su Google, il primo sito che mi si è aperto è stato quello del blog di tale Antonio Socci, il cui post dell'11 novembre 2010 incomincia con queste parole: “Le terre islamiche grondano di sangue cristiano. Ma il mondo se ne frega.” In occasione del Natale il Consiglio Regionale lombardo ha fatto apparire sul fianco del grattacielo Pirelli di Milano uno striscione alto cinque piani con la critta “Salviamo la vita dei cristiani in Irak e nel mondo.” Che la scritta sembri indicare che a salvare la vita ai non cristiani ci debba pensare qualcun altro non importa.
Vado a farmi un caffé.