venerdì 28 gennaio 2011

E adesso l'Egitto




Il sito ufficiale del governo italiano indicava il 3 gennaio scorso che il nostro Amato Leader aveva ricevuto una telefonata dallo pseudo-zio di Ruby, al secolo Muhammad Hosni Sayyid Ibrahim Mubarak. I due si erano fatti gli auguri per l'anno nuovo e si erano “dati appuntamento al prossimo Vertice bilaterale italo-egiziano in programma a Luxor nel mese di febbraio.” Il buon Mubarak aveva anche fatto i suoi complimenti a San Silvio da Arcore “per il recente voto di fiducia parlamentare.”
Non che lui di fiducia parlamentare ne sappia un granché, visto che di opposizione nel suo parlamento praticamente non ce n'é.
Le ultime notizie dal Cairo parlano di scontri violenti tra manifestanti e polizia, con numerosi morti. Internet e le reti cellulari sono inaccessibili da ieri per non permettere agli oppositori di scambiarsi informazioni. Eppure la gente continua a manifestare con un coraggio e una volontà che non possono che suscitare rispetto.
Qualcosa sta succedendo nel bacino mediterraneo e probabilmente altri presidenti e dittatori incominciano ad aver bisogno di cambiarsi mutande e pannoloni un paio di volte al giorno. Mi si potrà sempre rispondere con raffinate considerazioni macropolitiche per cercare di convincermi che in tutto questo c'è un grave rischio di instabilità dalle conseguenze imprevedibili. Forse.
Però intanto la gente si ribella, scende in strada rischiando la pelle, si fa sentire, esige un cambiamento. E già questo mi ha dato voglia di incominciare questo post con l'immagine di una bandiera egiziana.
Si fa quel che si può. Chissà quando mi verrà voglia di iniziare un altro post col tricolore?...

mercoledì 26 gennaio 2011

Di una Commissione



Questa mattina è avvenuta la consegna al capo dello Stato del rapporto da lui chiesto sul conflitto d'interessi. I tre membri della commissione, ovvero il vicepresidente del Consiglio di Stato, l'ex primo presidente della Corte d'Appello della capitale e il presidente della Corte dei Conti propongono che venga stipulata una legge per definire il conflitto d'interessi. La definizione dovrebbe tener conto dei valori indispensabili all'esercizio della funzione pubblica: probità, intégrità, imparzialità et obiettività. Laddove gli interessi privati — materiali, finanziari o professionali — rischiassero d'influenzare la condotta del titolare di una funzione pubblica ci sarebbe conflitto d'interessi.
Una delle idee del rapporto è di stabilire l'assoluta trasparenza sulle attività di un certo numero di attori della vita pubblica. I membri del governo, per esempio, dovrebbero compilare un documento speciale nel quale indicare i loro eventuali introiti privati, i loro precedenti impieghi nel settore privato, ecc. Anche i sottosegretari, i direttori di gabinetto, i responsabili di numerose collettività locali e di alcune aziende a partecipazione statale dovrebbero fare la stessa cosa, ma solo i documenti riguardanti i ministri dovrebbero essere resi pubblici.
Se un individuo si trovasse in situazione di conflitto d'interessi dovrebbe disfarsi dell'interesse privato, oppure rinunciare all'incarico pubblico. Per prevenire ogni problema la commissione propone la creazione di codici di condotta specifici. I controlli sarebbero effettuati da una nuova Commissione per la Trasparenza Finanziaria della Vita Pubblica formata da magistrati di grado superiore.
Forse ho dimenticato di precisare che tutto questo è successo stamattina in Francia, dove i magistrati non sono comunisti trinariciuti stalinisti nostalgici irriverenti gelosi ambiziosi e puzzoni.

mercoledì 19 gennaio 2011

Di una democrazia



Mignottocrazia;
cleptocrazia;
gerontocrazia;
telecrazia;
buffonocrazia;
finanzocrazia;
leganordocrazia;
odiocrazia;
irrispettocrazia;
denigrocrazia;
incoltocrazia;
innerocrazia;
colpadeglialtricrazia;
machocrazia;
soldocrazia;
bugiardocrazia;
festinocrazia;
bungabungacrazia;
strassocrazia;
arroganzocrazia;
micasonscemocrazia;
impunitocrazia;
privilegiocrazia;
castocrazia;
volgarocrazia;
oscenocrazia;
viagrocrazia;
testosteronocrazia;
adrenalinocrazia;
papicrazia;
footballocrazia;
disprezzocrazia;
mafiocrazia;
scandalocrazia;
barzellettocrazia;
botulinocrazia;
mercatocrazia;
sivergognicrazia;
parolonocrazia;
baronocrazia;
miconsentacrazia;
ghepensimiocrazia;
porcellumocrazia;
raccomandazionocrazia;
taglioaifondicrazia;
esclusionocrazia;
spudoratocrazia;
celhodurocrazia;
decretocrazia;
apparenzocrazia;
modacrazia;
spauracchiocrazia;
corruzionocrazia;
gergocrazia;
provincialismocrazia;
furbocrazia;
menefregocrazia;
pizzinocrazia;
precariatocrazia;
vaffanculocrazia;
risibilocrazia.

martedì 18 gennaio 2011

Sempre più big

  


Non sarà una di quelle notizie che sconvolgono il mondo, però Starbucks, la grande catena americana di caffé, ha lanciato un nuovo formato per le sue bevande, più grande dei precedenti.
Di Starbucks in giro per il mondo ce ne sono parecchi: 11.000 solo negli Stati Uniti (più di 150 a Manhattan), altri 6.000 in 50 altri paesi, ma il numero è in continuo aumento. In Italia per ora non ce ne sono. “È per umiltà e rispetto che non siamo in Italia” dichiarò qualche anno fa uno dei responsabili della ditta. Almeno per il caffé pare che un po' di rispetto ce lo meritiamo ancora.
Personalmente da Starbucks ci sono stato più volte, sia negli Stati Uniti che in Francia. Naturalmente non ci ho mai preso un espresso. O meglio, l'ho preso una volta e mi è bastato.
Non ci ho mai preso nemmeno schifezze tipo lo pseudo cappuccino, il Caramel Brulé Latte (caffé + latte schiumato + sciroppo di caramello + panna montata + altro zucchero caramellato), il Caramel macchiato (latte schiumato + sciroppo di vaniglia + caffé + salsa di caramello), il Cinnamon Dolce Latte (espresso + latte schiumato + sciroppo dolce alla cannella + panna montata zuccherata + polvere di cannella zuccherata), o l'Eggnog Latte (espresso + una specie di Vov schiumato + latte + noce moscata), ma qualche beverone di Caffé Mocha (espresso + salsa moka dolceamara + latte schiumato + panna montata) me lo sono fatto. Abbiamo tutti le nostre debolezze... Lui le minorenni, io il Caffé Mocha di Starbucks. Quando mi sono lasciato andare alla mia debolezza ho sempre preso il bicchiere chiamato tall, che nonostante il nome è il più basso di tutti e che contiene 354 ml, cioè un po' più di una normale lattina. Il che è già un bel bere. Almeno per noi. Ma non per gli americani, che tendono a prendere il formato Venti, da 591 ml, cioè più di mezzo litro, preferondolo nettamente al Grande che con i suoi 473 ml non è cosa.
Il nuovo bicchiere, che porta il glorioso nome di Trenta (cifra che nella Smorfia napoletana corrisponde alle palle del tenente), contiene un volume di 916 ml, cioè un po' meno di un litro. Un Venti di Caffé Mocha contiene, dice il sito di Starbucks, 410 calorie, cioè un quinto del bisogno giornaliero. Per la stessa quantità le calorie salgono a 300 per il Caramel macchiato, a 340 per il Cinnamon Dolce Latte, a 560 per il Caramel Brulé Latte e a 610 per l' Eggnog Latte che, sempre a detta di Starbucks, garantisce il 62% dell'apporto giornaliero di colesterolo. Tutte queste cifre vanno aumentate del 50% passando dal Venti al Trenta. Quindi vi dovesse venire in mente di scolarvi due Trenta di Eggnog Latte in un giorno, cosa lungi dall'essere impensabile per un americano, avreste già sforato le calorie necessarie per quel giorno. Va ricordato inoltre che i 916 ml del Trenta superano la capienza media di uno stomaco umano.
Ora, mi direte voi, ricordare qui che i tunisini hanno cacciato Ben Ali perché il prezzo del pane era aumentato può sembrare demagogico.
Ma siamo sicuri che lo sia?

domenica 16 gennaio 2011

Di una foto

Ho sotto gli occhi una foto pubblicata sul sito del Washington Post. La foto ritrae una folla esclusivamente maschile. Numerose braccia sono alzate (c'è qualcuno, in basso a destra, a cui manca un pezzo di anulare della mano sinistra), gli sguardi sono intensi, le barbe numerose. Portate dalla folla, si vedono diciannove bandiere a strisce orizzontali azzurre e rosse, con una scritta bianca nella striscia centrale, due bandiere bianche e nere, sette bandiere azzurre e verdi. Al centro della foto un ragazzo coi baffi il cui volto è parzialmente nascosto da altre braccia, con una camicia bianca e una giacca nera nonché un braccialetto nero, porta con la mano sinistra un manifesto in cima a un bastone che emerge dalla marea di teste. Il manifesto è a base azzurra, con una piccola striscia rossa orizzontale in basso. Sull'azzurro appare il volto di un uomo di una trentina d'anni, con barba ma senza baffi, con un berretto nero in testa e quella che sembra una giacca a vento blu. La foto è stata presa leggermente dal basso. L'uomo non ha espressione, sembra immobile. Guarda e basta. Sotto di lui c'è una scritta gialla. Più sotto ancora, nella striscia rossa del manifesto, c'è un'altra scritta, bianca, che forse è la stessa che appare sulle bandiere dello stesso colore. Dico forse perché si tratta di scritte in caratteri arabi, difficili da decifrare quando sono scritti in modi stilisticamente così diversi. La didascalia del Washington Post mi dà varie informazioni. Prima di tutto la foto è stata scattata il 14 gennaio, cioè l'altro ieri, da tale B.K. Bangash, dell'Associated Press, a Rawalpindi, in Pakistan. Su un'altra pagina internet ho potuto vedere la faccia di B.K. Bangash, sorridente. Occhi scuri, barba grigia ben curata, sguardo caloroso. Il fotografo, ho letto, è nato nel 1959 e dopo aver fotografato molti avvenimenti sportivi ha seguito la guerra civile in Ruanda e poi la guerra in Afghanistan. Altra informazione della didascalia: il giovane che appare sul manifesto tenuto dal manifestante coi baffi si chiama Mumtaz Qadri. La cosa mi sorprende perché credevo che Mumtaz fosse un nome femminile. Ma mi sbagliavo: Wikipedia mi dice non solo che è sia maschile che femminile, ma anche che significa “il migliore”. Non posso non dirmi che Mumtaz sembra essere un po' il corrispondente arabo di Massimo. La didascalia mi dice anche che la scritta (immagino quella gialla) sul manifesto dice “salutiamo il tuo coraggio”. Di Mumtaz Qadri non avevo memorizzato il nome, ma avevo letto qualche giorno fa, quando aveva assassinato Salman Taseer, governatore della provincia pakistana del Punjab, che si era opposto alla legge che prevede la pena di morte in caso di bestemmie. Salman Taseer era membro del PPP, il Pakistan Peoples Party, che è poi il partito fondato nel 1967 da Zulfikar Ali Bhutto, presieduto più tardi da sua figlia Benazir e oggi dal suo vedovo, nonché presidente del paese, nonché miliardario, Asif Ali Zardari. Sempre dalla didascalia vengo a sapere che la folla non manifestava solo a favore dell'assassino, ma anche contro le dichiarazioni di Benedetto XVI, che aveva invitato il governo pakistano ad abrogare una legge che “serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose”. Pur se non con le stesse parole, mi accorgo che una volta tanto il Papa sembra aver detto una cosa sulla quale mi trovo genericamente d'accordo. La foto è stata presa da lontano, con un teleobiettivo. Lo si capisce dal fatto che solo la zona in primo piano è a fuoco, mentre tutto il resto è sfuocato. Il fotografo si trovava forse su un albero, sul tetto di un autobus, o alla finestra di un primo piano. A meno che non si trovasse su una tribuna dalla quale il probabile oratore verso il quale sembrano diretti quasi tutti gli sguardi forse arringava la folla. La foto non è scaricabile, ed è per questo motivo che non ho potuto inserirla all'inizio di questo post. Cercando un'altra foto ho letto che la manifestazione era stata organizzata dal Sunni Tehereek, un partito fondamentalista sunnita fondato nel 1992, che aveva avuto il 3% alle elezioni del 2002 nella stessa Karachi, mentre non si è poi presentato a quelle del 2008, sostenendo di non disporre di opportunità uguali a quelle degli altri partiti. Allego una foto dell'assassino al momento dell'arresto. 


 
Tutta questa storia ha come origine la condanna a morte in prima istanza (novembre 2010) di Asia Bibi, una contadina cristiana madre di cinque figli, originaria del distretto di Shekhupura, nel Punjab. Famiglia cristiana del 25 novembre scorso scriveva:
I fatti risalgono al giugno 2009. Fa caldo. Alla donna, che lavora in un'azienda agricola, viene chiesto di portare dell’acqua alle sue colleghe. Ma un gruppo di loro, musulmane, trova da ridire: Asia Bibi non prega Allah, non segue il Corano, lasci perdere perché è destinata a rendere impuri sia il recipiente che l'acqua. Ne nasce un vivace botta e risposta. Le donne musulmane cercano di convincere Asia ad abiurare il cristianesimo e a convertirsi all’Islam. Bibi tiene il punto, spiega che Gesù Cristo è morto sulla croce per redimere i peccati di tutta l’umanità e chiede: «Cos'ha fatto per voi Maometto?».Alcuni giorni dopo le donne islamiche vanno dall’imam locale, la cui moglie fa parte del gruppo, accusando Asia Bibi di aver offeso il profeta Maometto; l’imam si reca dalla polizia che apre un’inchiesta. Asia Bibi è arrestata nel villaggio di Ittanwalai, accusata di aver violato la legge 295c (quella, appunto, sulla blasfemia), che non prevede - per chi accusa - l'onere di provare ciò che dice e che contempla nei casi estremi la condanna a morte. La sentenza, emessa più di un anno dopo, è pronunciata dal giudice Naveed Iqbal che esclude «totalmente» la possibilità che Asia Bibi sia accusata ingiustamente e dice che «non esistono circostanze attenuanti» per lei.”
Cercando Asia Bibi su Google, il primo sito che mi si è aperto è stato quello del blog di tale Antonio Socci, il cui post dell'11 novembre 2010 incomincia con queste parole: “Le terre islamiche grondano di sangue cristiano. Ma il mondo se ne frega.” In occasione del Natale il Consiglio Regionale lombardo ha fatto apparire sul fianco del grattacielo Pirelli di Milano uno striscione alto cinque piani con la critta “Salviamo la vita dei cristiani in Irak e nel mondo.” Che la scritta sembri indicare che a salvare la vita ai non cristiani ci debba pensare qualcun altro non importa.
Vado a farmi un caffé.

sabato 15 gennaio 2011

L'esempio tunisino

La bandiera tunisina


E così i tunisini hanno finito col cacciar via a pedate nel sedere il dittatore Ben Ali, quello al quale il nostro Amato Leader era legato da “vera amicizia” (dichiarazione del 23 dicembre scorso).
Ho detto “dittatore”, anche se Ben Ali era un eletto del popolo. Nel 1987, due mesi dopo essere stato fatto Primo Ministro dall'allora presidente Bourguiba, lo depose per senilità. È vero che il vecchio aveva ormai 84 anni (ben 10 di più di quelli del nostro Silvio nazionale!). Nei due anni successivi Ben Ali soppresse la costituzione, ne fece una nuova e fu poi eletto col 99,27% dei voti, che è sempre una bella percentuale. Rieletto col 99,91% nel 1994, lo fu poi col 99, 52% nel 1999 e col 94,49% nel 2004. Vista la pericolosa caduta di percentuale, decise allora di cambiare la costituzione che aveva lui stesso promulgato rendendo possibile l'elezione di uno stesso presidente più di tre volte di seguito.
Queste invidiabili percentuali ricordano quelle di un altro amico dell'Italia, il bielorusso Aleksandr Lukashenko, quello che il popolo “ama tanto”, come è chiaro “dai risultati elettorali che sono sotto gli occhi di tutti” (berlusco-dichiarazione del 30 novembre 2009). Lukascenko fu eletto presidente nel 1994 con più dell'80% dei voti, poi nel 2001 col 75,65% e nel 2006 con l'84,2%.
È chiaro che di fronte a queste cifre i miseri 52,52 e 71,22% russi ridicolizzano il povero Putin (altro amico nonché fornitore di lettoni). Per fortuna un altro amico ancora, quel simpaticone di Muhammar Gheddafi, autore del colpo di stato del 1969 (da noi era presidente Saragat e c'era il secondo governo Rumor...) alle elezioni non ci ha proprio mai pensato e continua, impeterrito nel suo ruolo di leader della Grande Repubblica Araba di Libia Popolare e Socialista.
Dittatore, dicevo. Eh, sì. Ben Ali e Lukascenko (e molti altri in giro per il globo) ci hanno ormai dimostrato che per essere dittatori non è più necessario prendere il potere con le armi, magari marciare su Roma, bombardare Guernica, o, che so?, il palazzo della Moneda di Santiago. No: basta controllare tutto il resto e in primis i media.
Cosa vuol dire questo? Che San Silvio da Arcore è un dittatore? Certo che no. E qui sta la grandezza del Nostro, il suo lato post-moderno, la sua genialità. In realtà ormai ci si può comportare da padroni assoluti distribuendo favori, mantenendo nani e ballerine, delegittimando quotidianamente ogni voce dissenziente e raccontando barzellette. Il risultato poi è più o meno lo stesso: la trasformazione di tutto un popolo in risibile comparsa di una commedia di terz'ordine.
Io sul futuro immediato della Tunisia sono pessimista. Non perché non rispetti il popolo di quel paese a noi così vicino, ma per le stesse ragioni che mi rendevano pessimista nella Romania del dopo Ceausescu. In Romania ci andai a fare spettacolo quattro mesi dopo la caduta del Genio dei Carpazi (vi ricordate?, era così che lo chiamavano) ed ebbi occasione di parlare a lungo con molti rumeni. La cosa che mi fu subito chiara e che mi stupì molto fu il vedere come tutti (tutti!) quelli coi quali parlavo mi dicevano del male di tutti gli altri. In realtà Ceausescu era riuscito ad instillare nella gente un tale odio e una tale diffidenza che anche nel momento in cui ci sarebbe stato da rimboccarsi le maniche per ripartire tutti insieme e costruire qualcosa di nuovo, quel che primeggiava erano ancora lo stesso odio e la stessa diffidenza. Temo molto che la stessa cosa stia per succedere in Tunisia, così come temo molto che una volta che ci saremo sbarazzati del senile inceronato di Palazzo Grazioli ci vorranno anni, generazioni forse, per ritrovare quel senso della misura e dello Stato indispensabili a qualsiasi democrazia. Ed è proprio per questo che ho un'immensa ammirazione per personaggi come Nelson Mandela e Aung San Suu Ky, o anche Juan Carlos di Spagna, che hanno saputo (almeno per quel che riguarda Mandela e Juan Carlos, ma credo ci riuscirà anche Aung San Suu Ky) trovare le parole e gli atti giusti per garantire un passaggio calmo e ragionato verso la democrazia. Ma voi di gente così in Italia oggi ne vedete? Ahimé, se ci sono si nascondono. E in Tunisia è lo stesso.
La Storia si muove sempre e nulla è mai definitivo, ma i tempi possono essere tragicamente lunghi. Ovvero: tragicamente brevi nella corsa al peggio, ma tragicamente lunghi in quella al meglio.
Per carità, che questo non ci impedisca un momento di felicità davanti alla caduta di un dittatore. E se Berlusconi ha perso un amico, beh, mi sa che ce ne faremo una ragione.