mercoledì 13 febbraio 2019

Dieci alla cinquantasettesima



Ognuno si commuove come può. Io stamattina mi sono commosso leggendo un libro. Non era un romanzo strappalacrime, né la biografia di un povero cristo che aveva molto sofferto. Non era nemmeno un libro di storia – lo dico perché ho sempre presente una frase di Kurt Vonnegut: la Storia: leggila e piangi.
Era un libro di astrofisica. A pagina 189 ho letto:

Pianeti (1028 grammi), stelle (1033 grammi), galassie (1044 grammi), ammassi di galassie (1045 grammi) e universo osservabile (1057 grammi) formano una gerarchia di masse che permette alla gravità di manifestarsi in tutto il suo splendore.

Ciò che mi ha commosso non è il fatto che qualcuno si sia preso la briga di calcolare la quantità di grammi di un pianeta, di una stella, di una galassia, di un ammasso di galassie o di tutto l'universo visibile. Ciò che mi ha commosso è la straordinaria capacità di sintesi della matematica, che con quattro piccole cifre, un 1, uno 0, più un 5 e un 7 in apice, ci dà accesso a un numero che il nostro cervello non è nemmeno capace di capire. Per dire 1057 dovremmo dire dieci milioni di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi!
Pare che piccole potenze matematiche (quadrati e cubi) fossero già presenti su alcune tavolette babilonesi del -1.700, ma il primo a scrivere le potenze come lo facciamo noi oggi è stato Cartesio, nel '600. Anche tenendo buona la data babilonese, quei 1.900 anni sono uno sputacchio rispetto alla durata della storia dell'umanità, meno di un centotrentamillesimo (ho fatto il calcolo).
Comunque sia, io davanti a cose così mi commuovo esattamente come davanti a un affresco di Piero della Francesca o all'ascolto di un quartetto di Schubert. E non importa se di matematica non ci capisco una mazza e se non sono nemmeno capace di risolvere un'equazione algebrica da terza media, perché non sono neppure capace di disegnare una bottiglia o di comporre una musichetta da niente.
Ci sono stati due momenti nella mia vita, il primo una ventina di anni fa e il secondo tre anni fa, nei quali da un giorno all'altro mi sono trovato davanti al baratro. Sì, quel baratro là. Se me ne sono venuto fuori entrambe le volte non è stato seguendo i consigli degli amici che mi dicevano che dovevo farmi aiutare da qualcuno (bizzarro eufemismo che molti usano, chissà perché, per evitare di dirti che dovresti andare dallo psicanalista), ma andando a visitare musei, ascoltando musica e leggendo. Solo che non leggevo romanzi o poesie consolatorie, leggevo libri di fisica e di matematica.
Non riesco a capire come e soprattutto perché il mondo in cui viviamo sembri avere deciso una volta per tutte che bellezza ed estasi sono riservate all'arte mentre la scienza dovrebbe accontentarsi del semplice raziocinio. Rischio davvero di fare la figura dello strambo se confesso che godo come un grillo a sapere che la luce del Sole ci mette 8 minuti per arrivare sulla Terra o che il peso dell'aria al livello del mare è di più o meno dieci tonnellate al metro quadro e che noi non lo sentiamo perché è compensato dalla pressione interna del nostro corpo? Io trovo strambi quelli che davanti a cose così dicono vabbè. Peggio: provo una certa compassione. Cristiddio!, come si fa a non commuoversi davanti a cose del genere? Davvero è più normale commuoversi davanti alla Resurrezione di Piero? O al secondo movimento della Fanciulla e la morte di Schubert? Io non trovo. 
Forse avrei dovuto nascere indiano. Gli indiani adorano i numeri, ci sguazzano dentro come ippopotami nel fiume. Non solo sono da sempre grandi matematici e hanno inventato sia i numeri «arabi» che lo 0, ma adorano anche semplicemente snocciolare numeri a più non posso. Prendi il Lalitavistara Sûtra, testo buddhista del III secolo che abbiamo tutti su uno scaffale del salotto tra I promessi sposi e Cinquanta sfumature di grigio. Ci troviamo tracce di:

Riunioni di diecimila religiosi, ottantaquattro milioni di Apsara, trentaduemila Bodhisattva, sessantottomila Brahma, un milione di Shakra, centomila dei, centinaia di milioni di divinità, cinquecento Pratyeka-Buddha, ottantaquattromila figli di dei, poi ancora trentaduemila e poi altri trentasei milioni di figli di dei e di Bodhisattva, poi ottomilaquattrocento miliardi di miliardi di divinità.

Non sottovalutiamo nemmeno che se avessimo finalmente incominciato a leggere la grammatica della lingua pâlî che teniamo in bagno ci troveremmo anche i nomi di numeri pazzeschi:

107 = koti
1014 = pakoti
1021 = kotippakoti
1028 = nahuta
1035 = ninnahuta
1042 = akkhobhini
1049 = bindu
1056 = abbuda
1063 = nirabbuda
1070 = ahaha
1077 = ababa
1084 = atata
1091 = sogandhika
1098 = uppala
10105 = kumuda
10112 = pundarîka
10119 = paduma
10126 = kathâna
10133 = mahâkathâna
10140 = asankhyeya

Altro che i miseri 1057 grammi dell'universo visibile! Davvero commovente.
Ma siccome mi capita di commuovermi anche davanti a un buon caffè, mo' ti lascio e vado a farmene uno.