domenica 27 gennaio 2019

Due libri da leggere

 
 
Ci sono libri che compri per curiosità e libri che compri per certezza. Con i primi sai che corri un rischio, ma è proprio il piacere di quel rischio che te li fa comprare. Chissà, magari li butterai via dopo venti pagine, ma magari ti apriranno nuovi orizzonti, ti susciteranno nuove curiosità, o forse ti offriranno semplicemente momenti di gioia.
Le cose sono molto diverse con i secondi: quell'autore già lo conosci e lo ami, non solo sai che non ti deluderà, ma hai anche la certezza che le ore che passerai in sua compagnia correranno via veloci e dense come una passeggiata in campagna. Sai che ne uscirai più fresco, più pieno di quel qualcosa di indefinibile che solo la lettura ti può dare.
I due libri dei quali sto per parlare non li ho ancora letti. Ma se parlare di libri non letti è un'occupazione salottiera molto più diffusa di quanto si pensi, parlarne quando già ne conosci l'autore è solo voglia di incitare qualcun altro a scoprirlo.
Il primo libro è La pienezza del vuoto di Trinh Xuan Thuan, astrofisico vietnamita, professore all'università della Virginia, nonché ricercatore associato all'istituto di astrofisica di Parigi. Scrive in francese. Ho già letto cinque dei suoi libri. Il più bello, che consiglio vivamente a tutti i curiosi, è Il caos e l'armonia – Bellezza e asimmetrie del mondo fisico, (in francese Le chaos et l'armonie – La fabrication du Réel) edito da Dedalo nel 2000. È una lunga e affascinante passeggiata di più di 500 pagine attraverso l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo che si legge quasi come un romanzo. È un libro semplice, chiaro e affascinante.
Ho poi letto La mélodie secrète – Et l'homme créa l'univers del 1991, inedito in Italia, Origines – La nostalgie des commencements, anche lui inedito, Dal Big Bang all'Illuminazione (in francese L'univers dans la paume de la main – Du big bang à l'Éveil), scritto con il monaco tibetano francese Matthieu Ricard, e Les voies de la lumière – Physique et métaphysique du clair-obscur, pure lui purtroppo inedito da noi.
Tanto per darti un'idea, nella mia personalissima lista di divulgatori scientifici preferiti Trinh è al primo posto, in compagnia dell'irakiano-inglese Jim Al-Khalili (del quale ti consiglio in particolare La casa della saggezza – L'epoca d'oro della scienza araba) e del nostro Carlo Rovelli (imperdibili i suoi Che cos'è la scienza – La rivoluzione di Anassimandro e La realtà non è come ci appare – La struttura elementare delle cose, nonché i più conosciuti Sette brevi lezioni di fisica e L'ordine del tempo). Autori come Stephen Hawking, Martin Rees, James Gleick e Guido Tonelli, benché ottimi, li metto un gradino sotto.
Pare che Trinh abbia scritto queto libro per tutte le "persone di buona volontà" interessate alle nozioni scientifiche e filosofiche sviluppate nei secoli sul tema del vuoto. Come dire che l'ha scritto per me; ma mi auguro anche per te.
Davvero, non perderti Trinh.


Tutt'altra lettura sarà quella di Le migliori menti della mia generazione di Allen Ginsberg. Il titolo viene evidentemente dal primo verso di Urlo, mitica poesia del 1955-'56, che nella traduzione di Fernanda Pivano incomincia così:

Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche
trascinarsi per strade di negri all'alba in cerca di droga rabbiosa,
hipsters dal capo d'angelo brucianti per l'antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte,
che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su imbottiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua fredda galleggiando sulle cime delle città contemplando jazz,
che si squarciavano cervelli al Cielo sotto la Elevated e vedevano angeli Maomettani illuminati barcollanti su tetti di casermette
che passavano per le università con freddi occhi radiosi allucinati di Arkansas e con tragedie Blakiane fra gli studiosi della guerra [ecc.]

Scrive con giustezza il poeta e slammer comasco Simone Savogin in un articolo su La lettura, supplemento al Corriere della sera:

E pensare che quando uno legge Urlo sente una sorta di richiamo a fare altrettanto, uno apre le braccia e ride e pensa un misto tra «la voglio scrivere anch'io una cosa così» e «chiunque può scrivere una cosa così», ma poi sbatte a viso aperto contro tutte le sovrastrutture che ci portiamo addosso e che non sappiamo scrollarci via e dalle quali non sappiamo scappare.

Questo però non è un libro di poesie, è una serie di lezioni su Kerouac, Burroughs, Corso e sé stesso nelle quali, secondo Savogin, si sente tutto l'amore per le persone che ha conosciuto e ammirato, si sente tutta l'urgenza di conoscere e far conoscere, si prova la sua stessa estasi nell'analizzare passaggi con una nuova cognizione di causa.
Di Ginsberg ho il ricordo ancora vivissimo di quando lo vidi declamare una sua poesia in pubblico, una sera dell'autunno del '74, a San Francisco. A quella serata partecipavano anche il celestiale Lawrence Ferlinghetti, la splendida Anne Waldman – che di questo libro ha scritto la prefazione e altri due o tre poeti beat. Ginsberg lesse American for Sale, poesia forse mai pubblicata visto che non ne trovo traccia su internet. Se ne stava seduto per terra in proscenio suonando un organetto indiano e salmodiandoci sopra i suoi versi ripetitivi in quello stile whithmaniano-rabbioso che lo rendevano così ammaliante, seducente e roccioso. Momenti indimenticabili.
Mo' ti lascio e corro in libreria a comprarmeli, questi due libri. L'unico problema poi sarà decidere quale leggere prima. Mi sa che farò a testa o croce.