Questa
foto, nota come La Marianna del Maggio '68 è stata pubblicata
ieri notte dal mio amico Stefano sulla sua pagina Facebook, ma io l'ho vista stamattina. La conoscevo e
l'avevo rivista non più di tre settimane fa, in Francia, dove in
edicola trovi un sacco di celebrazioni del cinquantenario del Maggio
'68.
Bella
foto. Sulla quale ho voluto saperne un po' di più di ciò che
ricordavo.
L'immagine, scattata del fotografo Jean-Pierre Rey, è
diventata iconica perché fa l'occhiolino alla Liberté guidant le
peuple, il quadro di Delacroix che in Francia è conosciuto quanto e
più del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo in Italia.
La
ragazza è Caroline de Bendern, che allora era una giovane modella.
In un'intervista del 1997 a Le Monde, Caroline raccontava com'erano
andate le cose:
Ci incamminiamo verso la
[piazza
della] Bastiglia.
Mi sono appena arrampicata sulle spalle di un amico. Chiedono
qualcuno per tenere una bandiera e io ho così male ai piedi a forza
di camminare che colgo la palla al balzo. [...]
La bandiera vietnamita mi va bene come simbolo di una guerra che
tutta la gioventù denuncia. D'un tratto sento diversi obiettivi puntati su
di me. È incredibile, li avvisto sempre. Una specie di fiuto, sono
modella… Allora ho come un riflesso proflessionale. D'istinto mi
raddrizzo, il mio volto si fa più grave, il mio gesto più solenne.
Vorrei assolutamente essere bella e offrire al movimento una
rappresentazione all'altezza del momento. In fondo, mi metto in posa.
[...]
Divento esattamente ciò che voglio sembrare. Non interpreto più un
ruolo, sono fino in fondo nel movimento e nell'istante, e cosciente,
io, l'aristocratica inglese, di una responsabilità.
Già,
Caroline era, anzi è, visto che vive tuttora, un'aristocratica
inglese, peraltro discendente da un bisnonno così aristocratico
inglese che, vedendo la foto, fece il necessario per diseredarla.
Oggi Caroline vive in Normandia ed è tornata brevemente alla ribalta
in Gran Bretagna poco più di due anni fa, come attivista
anti-Brexit.
Pare
che il giovane (che non si vede) sulle spalle del quale è seduta sia
Jean-Jacques Lebel, che allora era il traduttore in francese di
Ginsberg, Ferlinghetti, Corso, Burroughs e altri, ma che poi è
diventato pittore e soprattutto organizzatore di happening. Suo padre
era il critico d'arte Robert Lebel, noto per il suo saggio su Marcel
Duchamp, di cui fu amico, e per i suoi legami sia con i pittori
surrealisti che con Claude Lévi-Strauss e Jacques Lacan.
Scopro
con una certa sorpresa su internet che secondo alcuni fu proprio
Jean-Jacques Lebel ad avere l'idea di un grande quadro collettivo
dipinto a Milano nel 1961. Il quadro è intitolato Grande quadro
antifascista collettivo e ha una storia travagliata.
Intanto
gli autori: su internet trovo i nomi di Jean-Jacques
Lebel, Erró
(al secolo Guðmundur
Guðmundsson),
Enrico Baj, Roberto Crippa, Gianni Dova, Antonio Recalcati. Nella
sua Automitobiografia
però Baj cita sì Crippa e Recalcati, però anche Wilfredo Lam e
Victor Brauner, mentre non cita Dova, Erró
e Lebel.
Poi
la vicenda: pochi
giorni dopo l'apertura della mostra collettiva nella
quale veniva presentato, il quadro fu sequestrato dalla polizia, su
ordine del procuratore Luigi Costanza, per offesa
a Capo di Stato estero,
in questo caso Papa Giovanni XXIII. Vero è
che da
qualche parte su quella grossa tela c'è incollata una piccola foto
del Papa di allora, ma se uno non lo sa, magari fatica anche a
trovarla. Comunque sia, il quadro fu staccato dal muro, arrotolato e
portato via. Poi sparì per 27 anni.
È
solo nell'88 che Baj riuscì a recuperarlo, cosa
che sorprese anche lui, come mi raccontò poi nei dettagli durante
una di quelle lunghe chiaccherate che ci facevamo nel suo studio.
Più tardi è stato esposto al Louvre di Lens (succursale di quello
di Parigi), al Beaubourg, a Vienna, agli Invalides, per finire poi al
Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Strasburgo, dove l'ho visto,
forse una dozzina di anni fa.
E
tutto questo mi
conferma una volta ancora l'esattezza
della
teoria dei sei
gradi di separazione, che
sostiene che a qualsiasi abitante della Terra è possibile entrare
direttamente in contatto con qualsiasi altro passando da non più di
5 intermediari. In questo caso preciso, se volessi mettermi in
contatto con Caroline mi basterebbe chiamare la vedova di Enrico Baj,
Roberta, che non avrebbe difficoltà a mettersi a sua volta in
contatto con Jean-Jacques Lebel, che a sua volta… e voilà. Il
gioco sarebbe fatto in tre, massimo 4 passaggi.Detto questo, non vedo perché vorrei mettermi in contatto con Caroline, ma non importa.
Oltre tutto, l'unico passaggio che a questo punto
mi interessa davvero è
quello tra me e la caffettiera, quindi ti lascio e vado a farmi indovina
cosa.
Caroline
de Bendern, un anno fa