mercoledì 19 aprile 2017

La torre di Hanoi

Si narra che all'inizio dei tempi, Brahma, il Dio creatore, portò nel grande tempio di Benares, sotto la cupola d'oro che si trova al centro del mondo, tre colonnine di diamante e sessantaquattro dischi d'oro. I dischi, bucati al centro, erano collocati su una delle colonnine in ordine decrescente, dal più piccolo in alto, al più grande in basso. Si dice che da allora i monaci del tempio siano impegnati a trasferire i dischi dalla prima alla terza colonnina rispettando due regole semplici, dettate dallo stesso Brahma:
  1. possono spostare solo un disco alla volta;
  2. non possono mai mettere un disco più grosso sopra un disco più piccolo.
Si crede che quando tutti i dischi saranno stati spostati sulla terza colonnina la torre crollerà, il tempio crollerà e sarà la fine del mondo.
Quello che si sa poco è che se i monaci spostassero un disco al secondo per 24 ore al giorno la loro impresa durerebbe quasi 585 miliardi di anni. Tenendo presente che il nostro universo esiste da 13,7 miliardi di anni, la Terra da 4,65 e l'homo sapiens da 200.000 anni, direi che per il momento non ci sarebbe da preoccuparsi.
Purtroppo ciò che si narra e si racconta non è sempre vero. E infatti non solo a Benares non esiste nessuna cupola d'oro, ma sappiamo tutti, grazie alla rivelazione cosmogonica di Salvador Dalì, che il centro del mondo è la stazione di Perpignan.
Quello dei dischi da spostare da una colonnina a un'altra utilizzandone una terza è solo un gioco, che forse già conosci come La torre di Hanoi. Forse però non sai che il gioco è stato inventato dal Professor Claus (de Siam), del Collegio di Li-Sou-Stian.
Ahimé, anche questo non è vero, visto che Claus (de Siam) è solo l'anagramma di "Lucas (d'Amiens)" e che Li-Sou-Stian è a sua volta l'anagramma di Saint-Louis.
Édouard Lucas era un professore di matematica. Era nato ad Amiens, in Piccardia, nel 1842 e morì a Parigi nel 1891 a causa di un banale incidente. Qualche giorno prima, mentre partecipava, a Marsiglia, a un banchetto in occasione del congresso dell'Associazione Francese per l'Avanzamento delle Scienze, fu colpito in testa da un piatto che un cameriere gli fece inavvertitamente cadere in testa dopo avere inciampato in un tappeto. Il piatto gli provocò un'erisìpola, che come tutti sappiamo è un'infezione acuta della pelle causata da batteri piogeni. In pochi giorni, l'erisìpola ebbe ragione del professore.
8 anni prima, Lucas aveva commercializzato un gioco che aveva chiamato La torre di Hanoi. Sulla scatola c'era scritto La tour d'Hanoï - Véritable casse-tête annamite - Jeu rapporté du Tonkin par le Professeur N. Claus (de Siam), Mandarin du Collège de Li-Sou-Stian (La torre di Hanoi - Gioco portato dal Tonchino dal Professore N. Claus (del Siam), Mandarino al Collegio di Li-Sou-Sian). Lucas insegnava matematica all'allora Collegio e oggi Liceo Saint-Louis, che si trova a Parigi, al 44 del Boulevard Saint-Michel. Il foglio con le spiegazioni all'interno nella scatola indicava anche che quel gioco inedito era stato trovato negli scritti dell'illustre Mandarino Fer-Fer-Tam-Tam. Sullo stesso foglio si prometteva, senza alcun rischio, una ricompensa superiore a 1 milione di franchi a chi fosse riuscito a spostare una torre di 64 dischi da una colonnina a un'altra, visto che l'impresa avrebbe necessitato 18.446.744.073.709.551.615 mosse.
L'immagine all'inizio di questo post l'ho presa dal sito Amazon, dove il gioco è in vendita per 19;99€. Qualora l'invidiabile stato delle tue finanze ti invogliasse a lanciarti in una simile spesa, che peraltro comprende anche la spedizione, sappi che se per spostare gli 8 dischi ti ci vorranno 255 mosse, nulla ti impedirà di giocare solo con 3 (7 mosse), con 4 (15 mosse), con 5 (31 mosse), o magari con 6 (63 mosse). Se poi, spinto da non so quale masochismo, volessi fabbricarti da solo una versione del gioco comprendente ancora più dischi, per sapere quante mosse saranno necessarie per un dato numero di dischi ti basterà usare la formula 2n - 1, dove n è uguale al numero di dischi.
Infine se la tua leggendaria pigrizia dovesse impedirti di giocare potresti sempre guardare un bambino che fa tutto in 2 minuti e 34 secondi cliccando qui.
Guarda, sono così contento di averti raccontato questa roba che adesso vado a farmi un caffè.

domenica 16 aprile 2017

Pasqua!



Oggi è Pasqua. Non è Pasqua solo per i cattolici, ma anche per gli ortodossi. Il che credevo fosse relativamente raro finché ho verificato e ho visto che questa è già la settima volta che succede dal 2000. 
Il calcolo del giorno in cui festeggiare Pasqua è abbastanza comico. All'inizio i primi cristiani, che ovviamente erano ebrei, festeggiavano la resurrezione del loro Messia lo stesso giorno in cui gli altri ebrei festeggiavano l'esodo dall'Egitto alla Terra Promessa. Quella festa si chiamava e si chiama tutt'ora "Pesach." Il nome è legato all'episodio della Bibbia raccontato nel Libro dell'Esodo. Quando il "buon" Dio decide di sterminare tutti i primogeniti d'Egitto perché gli egiziani gli stanno molto meno simpatici degli ebrei, dice a Mosé che lui e i suoi compagni dovranno imbrattare le porte delle loro case con un po' di sangue dell'agnello che si saranno pappati in famiglia (avendo fatto bene attenzione di arrostirlo e non di bollirlo!). "Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro — prosegue l'onnipotente; — io vedrò il sangue e passerò oltre." Ed è da quel "passare oltre" che viene la parola Pesach, diventata poi Pasqua per i cristiani. 
Già, ma perché mai allora gli inglesi chiamano Pasqua "Easter" e i tedeschi "Ostern"? Probabilmente per rendersi interessanti, ma non solo. 
Quelle parole deriverebbero dall'inglese medievale "Ēastrun", o "Ēastran", o magari pure "Ēastron", ma non importa, che deriverebbe a sua volta dal nome della dea Ēostre, o Ēastre, o anche Ôstara, ma non importa, che veniva festeggiata in aprile, tant'è vero che quel mese si chiamava "Eostur-Monath." Durante quella festa la gente si scambiava delle uova, prima di serpente e più tardi di gallina, forse anche perché quelle di gallina erano più facili da trovare. 
Chi parla della dea Ēostre è San Beda il Venerabile, che era uno che faceva il monaco in un convento dedicato ai Santi Pietro e Paolo nel regno di Northumbria (che si chiamava così perché la sua frontiera meridionale coincideva con l'estuario del fiume Humber, nel nord-est dell'attuale Inghilterra, e non perché era molto a nord dell'Umbria, cosa che lasciava del tutto indifferenti gli inglesi del nord dell'VIII secolo). Questo San Beda scrisse una "Historia ecclesiastica gentis Anglorum" che non solo gli ha fatto meritare il titolo di Padre della storia inglese, ma pure quello di Dottore della Chiesa (cattolica), che è una cosa così importante che di Dottori della Chiesa ce ne sono solo 36 e che lui è l'unico britannico. A Beda si deve la famosa profezia secondo la quale "finché starà il Colosseo starà Roma, quando cadrà il Colosseo cadrà anche Roma e quando cadrà Roma cadrà il mondo", che magari non sarà l'unico motivo per il quale la famiglia Della Valle ha deciso bene di sponsorizzare il restauro dell'anfiteatro voluto dall'imperatore Vespasiano, ma magari sì. 
Comunque sia, pare che questa Ēastrun fosse una dea molto popolare, che si occupava di primavere e di fertilità e che veniva associata alla lepre e/o al coniglio per via della rapidità con la quale quegli animali si riproducono. 
Ma avevo incominciato parlando delle date della Pasqua cristiana e di quella ortodossa, nonché di quella del Pesach ebraico. Il Pesach deriva da una festa ancora più antica, nella quale si celebrava il ritorno della primavera in occasione del primo raccolto di orzo, che veniva usato per preparare il pane azzimo. Come ho già detto, i primi cristiani si limitarono a trasformare quella festa nella celebrazione della resurrezione del figlio del loro Dio. Poi però nel 325 arrivò il Concilio di Nicea che stabilì che la festa doveva essere celebrata la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera. La cosa fu accettata da tutti fino a quando Papa Gregorio XIII pubblicò la sua bolla papale "Inter gravissimas", nel 1582. Quella bolla buttava alle ortiche il calendario giuliano e ufficializzava il gregoriano. Cosa che fece incazzare gli ortodossi — che a dire il vero si incazzavano facilmente appena il papa di Roma diceva una cosa — che quindi decisero di tenersi il vecchio calendario. Ecco perché ancora oggi la Pasqua ortodossa è celebrata 13 giorni dopo quella cattolica, che cade ineluttabilmente tra il 22 marzo e il 25 aprile. 
Queste cose di Chiesa mi sembrano sempre un po' buffe, mi danno l'impressione di piccole beghe tra impiegatucci dispettosi. Sta di fatto che oggi in Italia è Pasqua e questo mi permette di offrirti la ricetta dell'omelette al cioccolato che ho appena trovato su internet:


Ingredienti per 4 persone:
4 uova
1/2 bicchiere di latte
4 cucchiai di zucchero a velo
30 g di cioccolato a pezzi
burro
cacao amaro
Procedimento:
Sbattete le uova con lo zucchero come per una comune omelette. Aggiungete il latte e continuate a montare il composto. Unite il cioccolato ridotto a piccoli pezzi. In un largo padellino mettete una noce di burro e appena si sarà sciolto versate il composto delle uova. Ripiegate metà dell'omelette su se stessa e continuate la cottura per pochi minuti (deve essere cotta ma rimanere morbida). Servite l'omelette con una bella spolverata di cacao amaro. 

Secondo me è una schifezza, ma se vuoi provarla, fai pure.

lunedì 3 aprile 2017

Sui capolavori

Gertrude Stein


Non mi ricordavo come fosse incominciata la cosa ma poi me ne sono ricordato. Stavo guardando una partita del campionato inglese. Lo faccio spesso perché chiunque si interessi un minimo al calcio sa benissimo che le partite del campionato inglese sono molto più belle delle partite italiane. Oltretutto quello era un derby, Liverpool / Everton.
Stavo guardando la partita quando non so più se dopo un passaggio, una parata o un tiro in porta il commentatore ha parlato di capolavoro.
Ci sono due parole che che la stampa sia scritta che televisiva ci propina ormai senza il minimo ritegno: eroe e capolavoro. Basta che uno si butti vestito in piscina perché vede una bambina di due anni che sta affogando e diventa un eroe; basta che uno dia un calcio giusto a un pallone e ha fatto un capolavoro. Naturalmente sottinteso dalla parola eroe c'è il fatto che insomma, magari tu non ti saresti buttato in quella piscina anche se sai nuotare benissimo, però la cosa non è grave perché per farlo bisogna essere eroi. Sottinteso invece dalla parola capolavoro c'è il messaggio subliminale che ti dice che sei uno molto fortunato perché la "tua" televisione "ti" sta facendo vedere una cosa straordinaria, anche se poi in realtà quella cosa straordinaria non lo è.
Insomma, stavo guardando il Liverpool che faceva a pezzi l'Everton quando quella fesseria del commentatore mi ha fatto pensare a un testo che mi aveva entusiasmato quando l'avevo letto per la prima volta, più o meno 45 anni fa, e che ancora oggi mi piace un sacco. È il testo di una conferenza di Gertrude Stein all'università di Oxford nel 1936. Si intitola "Cosa sono i capolavori e perché ce ne sono così pochi."
Più o meno 45 anni fa un'amica canadese, Barbara, mi regalò il mio primo libro della Stein, un'antologia pubblicata dalla Penguin con il titolo "Look at Me Now and Here I Am." Quel libro ce l'ho ancora e quando mi è venuta in mente la sua conferenza sui capolavori sono andato a rileggermela, abbandonando vigliaccamente tanto il Liverpool quanto l'Everton. E poi...

Perché? Perché mai mi sono messo lì a tradurre quel testo intraducibile? Perché?
Sarà che a quel libro, con le sue pagine in gran parte scollate, la copertina sgualcita e i fogli ingialliti, ormai sono affezionato. Sarà perché scoprire Gertrude Stein 44 anni fa è stato così importante che ho finito col dare a mia figlia, come secondo nome, Gertrude, cosa che non mi perdonerà mai. Sarà perché non credo che quel testo esista in italiano. Sarà per masochismo. Sarà per amore, visto che di questi tempi di amore ce n'è poco.
Comunque sia, l'ho tradotto. Non so se ti piacerà. Non so se ce la farai e leggerlo. È ovviamente un testo datato, ma lo è come è datato qualsiasi altro grande testo scritto in un modo ormai datato, che dice cose ormai datate, ma che continua in qualche strano suo modo a non essere datato e a non dire cose ormai datate.
Il pericolo con Gertrude Stein è sempre questo, leggi qualcosa che ha scritto e cerchi subito di metterti a scrivere come lei anche se sai che non riuscirai mai a scrivere come lei e che comunque anche se ci riuscissi non sarebbe interessante.
Quindi la smetto subito.

Gertrude Stein
COSA SONO I CAPOLAVORI E PERCHÉ CE NE SONO COSÌ POCHI

Stavo quasi per parlare a questa conferenza invece di scrivere e poi leggere perché tutte le conferenze che ho scritto e letto in America sono state pubblicate e anche se per voi potrebbero anche essere lette come se non fossero state pubblicate tuttavia c'è una cosa a proposito di ciò che è stato scritto e pubblicato che lo rende non più di proprietà di chi l'ha scritto e quindi non c'è più ragione per l'autore di leggerlo di quanta ce ne sia per chiunque altro e quindi non lo fa.

Per questa ragione stavo per parlarvi ma a dire il vero è impossibile parlare di capolavori e di cosa siano perché parlare non ha essenzialmente niente a che vedere con l'atto creativo. Io parlo molto mi piace parlare e parlo anche più di quanto potrei dire parlo quasi sempre e molto spesso ascolto anche e come ho detto l'essenza del genio è la sua capacità di parlare e di ascoltare ascoltare mentre parla e parlare mentre ascolta ma e questo è molto importante molto importante per davvero parlare non ha nulla a che vedere con l'atto creativo. Cosa sono i capolavori e perché ce ne sono così pochi. Dopotutto si potrebbe dire che ce ne sono molti ma in qualsiasi proporzione a quello che tutti quelli che fanno qualcosa hanno fatto ce ne sono molto pochi. Durante tutta l'estate ho meditato e ho scritto su questo soggetto e la cosa ha finito col diventare una discussione sulle relazioni tra natura umana e mente umana e identità. La cosa che uno finisce poco per volta per scoprire è che uno non ha un'identità voglio dire nel momento in cui sta facendo una qualsiasi cosa. L'identità è il riconoscimento, sai chi sei perché tu e altri ricordate qualcosa di te stesso ma essenzialmente tu non sei quella cosa quando stai facendo una cosa qualsiasi. Io sono io perché il mio cagnolino mi conosce ma, parlando di creatività, il cagnolino che sa che tu sei tu e il tuo riconoscimento del fatto che lui sa, è quello che distrugge l'atto creativo. È questo che diventa scuola. Picasso una volta ha detto non m'importa chi mi ha influenzato o mi influenza almeno nella misura in cui non sono io.

È molto difficile così difficile che è sempre stato difficile ma è ancora più difficile adesso conoscere il rapporto tra la natura umana e la mente umana perché devi sapere qual'è la relazione tra l'atto di creare e il soggetto che il creatore usa per creare quella cosa. Si dicono un sacco di sciocchezze a proposito di ogni tipo di cosa. Dopotutto c'è sempre lo stesso soggetto ci sono le cose che vedi e ci sono esseri umani e esseri animali e tutti quelli che puoi immaginare dall'inizio dei tempi sanno praticamente dall'inizio e fino alla fine tutte queste cose. Dopotutto qualsiasi donna in qualsiasi villaggio o anche uomo se preferite o perfino bambino conosce la psicologia umana tanto quanto tutti gli scrittori che hanno mai vissuto. Dopotutto ci sono cose che sai chiunque a modo suo le sa tutte e non è questo sapere che fa i capolavori. Per niente per niente proprio per niente. Chi riconosce i capolavori dice che questa è la ragione ma non lo è. Non è il modo in cui Amleto reagisce al fantasma del padre che fa il capolavoro, per Shakespeare avrebbe potuto reagire in una dozzina di modi diversi e tutti sarebbero stati altrettanto colpiti dalla psicologia della cosa. Ma non c'è psicologia in quella cosa, quello probabilmente non è il modo in cui un qualsiasi giovane reagirebbe davanti al fantasma del padre e non c'è motivo per cui dovrebbe farlo. Se quello fosse il modo in cui un giovane potrebbe reagire davanti al fantasma del padre allora sarebbe una cosa che chiunque in qualsiasi villaggio saprebbe potrebbero parlarne parlarne per ore ma quello non farebbe un capolavoro e questo ci porta una volta ancora al soggetto dell'identità. In qualsiasi momento tu sia tu sei tu senza la memoria di te stesso perché se ti ricordi te stesso mentre sei tu allora non lo sei con lo scopo di creare te. Questo è così importante perché ha molto a che vedere con la questione di uno scrittore nei confronti dell suo pubblico. Una delle cose che ho scoperto facendo conferenze è che uno finisce gradualmente per non ascoltare più ciò che dice finisce col sentire ciò che il pubblico gli sente dire, questo è il motivo per cui l'oratoria non è praticamente mai un capolavoro molto raramente e molto raramente una storia, perché la storia si occupa di persone che sono oratori che sentono non cosa sono non cosa dicono ma cosa il loro pubblico li sente dire. È molto interessante che scrivere lettere presenti la stessa difficoltà, la lettera scrive ciò che l'altra persona dovrà sentire e quindi non esiste un'entità ci sono due presenti invece di uno e ancora una volta l'atto creativo collassa. Una volta scrivendo The Making of Americans ho scritto scrivo per me e per degli sconosciuti ma quello era solo un formalismo letterario perché se avessi scritto per me e per degli sconosciuti se l'avessi fatto non avrei scritto davvero perché a quel punto l'identità avrebbe preso il posto dell'entità. È estremamente difficile, un'azione è diretta ed effettiva ma in fondo l'azione è necessaria e tutto ciò che è necessario ha a che vedere con la natura umana e non con la mente umana. Quindi un capolavoro essenzialmente non deve essere necessario, deve essere cioè che è deve esistere ma non deve essere necessario non è una risposta alla necessità come azione è perché nel momento in cui è necessario non ha in sé la possibilità di proseguire.

Per tornare a ciò che il capolavoro ha come soggetto. Scrivendo di pittura ho detto che un'immagine esiste per e in se stessa e il pittore deve usare oggetti paesaggi e persone come un modo il solo modo in cui è capace di fare esistere il quadro. Quello è il problema di tutti e particolarmente il problema proprio adesso quando chiunque scriva o dipinga deve essere anormalmente conscio delle cose che usa cioè i fatti le persone gli oggetti e i paesaggi e fondamentalmente nel momento in cui uno è conscio profondamente conscio di queste cose come soggetto l'interesse per queste cose non esiste.

È così chiaro nella difficoltà di scrivere romanzi o poesia oggi. La tradizione è sempre stata di descrivere più o meno cose che succedono uno le immagina naturalmente ma poi descrive più o meno le cose che succedono ma oggi sappiamo sempre tutti cosa succede e quindi ciò che succede non è molto interessante, lo sai dalla radio cinema giornali biografie autobiografie finché ciò che succede non è più eccitante per nessuno, eccita un po' ma non eccita per davvero. Il pittore non può più dire che ciò che fa è ciò che vede nel mondo perché non può più guardare il mondo, è stato troppo fotografato e allora lui deve dire che fa qualcos'altro. In passato un pittore diceva che dipingeva ciò che vedeva naturalmente non lo faceva ma comunque poteva dirlo, adesso non vuole dirlo perché vedere non è interessante. Questo ha qualche rapporto con i capolavori e col perché ce ne sono così pochi ma non proprio.

Quindi vedi bene perché parlare non ha niente a che vedere con l'atto creativo, parlare è nella natura umana così com'è e la natura umana non ha niente a che vedere con i capolavori. È assai curioso ma i gialli che si può dire che siano la sola vera forma letteraria nata ai nostri tempi si sbarazzano della natura umana facendo morire l'uomo fin dall'inizio l'eroe è morto fin dall'inizio e quindi tu devi per così dire sbarazzarti dell'evento prima che il libro inizi. C'è un'altra cosa curiosa nei gialli. Nella vera vita la gente è più interessata al crimine che alla soluzione, è il crimine che provoca lo shock l'eccitazione l'orrore ma nella storia è la soluzione che solleva l'interesse e ciò è abbastanza naturale perché la necessità per quello che riguarda l'azione è il morto, è un'altra funzione che ha molto poco a che vedere con la natura umana che rende la soluzione interessante. E quindi è sempre vero che il capolavoro non ha niente a che vedere con la natura umana o con l'identità, ha a che vedere con la mente umana e con l'entità cioè con una cosa in se stessa e non in relazione. Nel momento in cui è in relazione è una cosa risaputa e chiunque può sentirla e saperla e non è un capolavoro. Allo stesso tempo tutti in maniera curiosa sentono prima o poi la realtà di un capolavoro. La cosa in se stessa della quale la natura umana è solo un vestito attira l'attenzione. Ho molto meditato su questo punto. I modi e le abitudini dei tempi biblici o dei greci o dei cinesi non hanno niente a che vedere con i nostri oggi ma i capolavori esistono lo stesso e non esistono per la loro identità, cioè ciò che tutti si ricordavano allora, non esistono per via della natura umana perché tutti sanno sempre tutto ciò che c'è da sapere sulla natura umana, esistono perché sono diventati una cosa che è fine a se stessa e in quel senso è all'opposto della vita che è relazione e necessità. Questo è ciò che un capolavoro non è anche se potrebbe facilmente essere ciò di cui un capolavoro parla. È un'altra delle curiose difficoltà di un capolavoro cioè incominciare e finire, perché a dire il vero non è ciò che un capolavoro fa non comincia e finisce se lo facesse sarebbe per necessità e in relazione e questo è proprio ciò che un capolavoro non è. Tutti se ne proccupano adesso tutti questo è ciò che li fa parlare di astrattismo e che li fa preoccupare di punteggiatura e maiuscole e minuscole e di cos'è una storia. Tutti se ne preoccupano non perché tutti sanno cosa sia un capolavoro ma perché alcuni hanno scoperto cosa non è un capolavoro. Persino gli stessi capolavori sono sempre stati preoccupati dall'inizio e dalla fine perché quello è essenzialmente ciò che un capolavoro non è. Eppure dopotutto come soggetti della natura umana i capolavori devono utilizzare l'inizio e la fine per esistere. E poi comunque sia chiunque stia cercando di fare una qualsiasi cosa oggi sta disperatamente non avendo un inizio e una fine anche se in un modo o nell'altro uno deve finire per fermarsi. Mi fermo.

Non so se ho chiarito le cose, è chiaro, ma purtroppo ho messo tutto questo per scritto durante l'estate e nonostante tutto me ne ricordo adesso e quando uno ricorda non è mai chiaro. È questo che crea la scrittura secondaria, il ricordare, è molto curioso incominci a scrivere qualcosa e improvvisamente ti ricordi qualcosa e se continui a ricordarti quello che scrivi diventa molto confuso. Se non ricordi mentre scrivi, può sembrare confuso ad altri ma in realtà è chiaro e prima o poi quella chiarezza sarà chiara, è questo il capolavoro, ma se ricordi mentre scrivi sembrerà chiaro a tutti nell'immediato ma la chiarezza se ne andrà è questo ciò che un capolavoro non è.

Tutto questo sembra terribilmente complicato ma non è complicato per nulla, è solo ciò che succede. Chiunque tra voi quando scrive cerca di ricordare cosa sta per scrivere e vede immediatamente quanto ciò che scrive diventa privo di vita è per questo che la scrittura descrittiva è così noiosa perché è tutta ricordata, è per questo che l'illustrazione è così noiosa uno ricorda l'aspetto di qualcuno e fa assomigliare la sua illustrazione a quell'aspetto. Nel momento in cui la memoria funziona mentre fai qualcosa questo può risultare molto popolare ma in realtà è noioso. E questo è ciò che un capolavoro non è, può essere sgradevole, ma non è mai noioso.

E quindi allora perché ce ne sono così pochi. Ce ne sono così pochi perché in genere la gente vive nell'identità e nella memoria intendo quando pensa. Uno sa di essere perché il suo cagnolino lo conosce, e quindi non è un'entità ma un'identità. Ed essendo questo la memoria è necessaria alla sua esistenza e quindi uno non può creare capolavori. Si è detto dei geni che sono eternamente giovani. Una volta dissi a cosa serve essere un bambino se poi devi crescere fino a diventare uomo, il bambino e l'uomo non hanno niente a che vedere l'uno con l'altro, a parte per ciò che riguarda la memoria e l'identità, e se hanno qualcosa a che vedere l'uno con l'altro per ciò che riguarda la memoria e l'identità allora non creeranno mai un capolavoro. Capisci capisci davvero bene non fa molta differenza perché dopotutto i capolavori sono quello che sono e la ragione è che ce ne sono così pochi. Nel momento in cui tu sei tu perché il tuo cagnolino ti conosce non puoi fare un capolavoro e questo è chiaro.

Non è molto complicato non avere un'identità ma è molto complicato sapere di non avere un'identità. Si potrebbe dire che è impossibile ma non è impossibile è provato dall'esistenza dei capolavori che non sono nient'altro che questo. Sono il sapere che non c'è identità e il produrre mentre non c'è identità.

Questo è cioè che un capolavoro è.

Quindi adesso sappiamo cos'è un capolavoro e sappiamo anche perché ce ne sono così pochi. Hanno tutto contro. Tutto ciò che fa andare avanti la vita crea identità e tutto ciò che crea identità è necessariamente una necessità. E i piaceri della vita come le necessità aiutano la necessità di un'identità. I piaceri che rassicurano hanno tutti a che vedere con l'identità e i piaceri che eccitano hanno tutti a che vedere con l'identità e in più ci sono l'orgoglio e la vanità che giocano con i capolavori come lo fanno con chiunque e anche loro hanno a che vedere con l'identità, e quindi naturalmente è naturale che ci sia più identità di quanto uno non lo pensi più di quanto non pensi a qualsiasi altra cosa che sa e la cosa peggiore di tutte è che l'unica cosa che uno pensa è l'identità e pensare è qualcosa che ha così bisogno di essere memoria e se poi lo è non ha naturalmente niente a che vedere con un capolavoro.

Ma un capolavoro di cosa può trattare può soprattutto trattare di identità e trattandone non può averne alcuna. Stavo pensando a una cosa qualsiasi e pensando a una cosa qualsiasi ho visto qualcosa. Vedendo quella cosa la vedremo forse senza che lei si trasformi in identità, il momento non è un momento e la vista non è la cosa vista eppure lo è. I momenti non sono importanti perché naturalmente i capolavori non hanno più tempo di quanto abbiano identità anche se il tempo come l'identità è ciò che li riguarda naturalmente è ciò che li riguarda.

Una volta quando uno ha detto quello che dice è vero o non è vero. Questo è il problema col tempo. Questo è ciò che rende ciò che dicono le donne più vero di ciò che dicono gli uomini. Questo è indubbiamente il problema col tempo e sempre in rapporto ai capolavori. Una volta ho detto che non c'è niente che mi dia più fastidio del fatto che una cosa diventa morta una volta che è stata detta. E se lo fa è perché c'è questo problema col tempo.

Il tempo è molto importante in rapporto ai capolavori, naturalmente crea identità il tempo crea identità e l'identità interrompe la creazione di capolavori. Ma il tempo fa qualcosa di per sé per interferire con la creazione di capolavori oltre a far parte di ciò che fa l'identità. Se non continui a ricordare te stesso non hai identità e se non hai tempo non continui a ricordare te stesso e mentre ricordi te stesso non crei lo sanno tutti.

Pensa a come crei se crei non ricordi te stesso mentre crei. Eppure il tempo e l'identità sono le cose delle quali parli mentre crei solo che mentre crei loro non esistono. È questa la realtà.

E tu crei sì se esisti ma tempo e identità non esistono. Viviamo nel tempo e nell'identità ma così come siamo non conosciamo il tempo e l'identità lo sanno tutti. È così semplice che lo sanno tutti. Ma sapere ciò che uno sa è spaventoso vivere ciò che uno vive è rassicurante e anche se a tutti piace provare spavento ciò che tutti vogliono è essere rassicurati ed è per questo che i capolavori sono così pochi non che siano spaventosi in sé stessi naturalmente no perché se chi ha creato il capolavoro è spaventato allora non esiste senza memoria del tempo e identità, e nella misura in cui lui è così è spaventato e nella misura in cui è spaventato il capolavoro non esiste, sembra così, ma la memoria dello spavento distrugge il capolavoro. Robinson Crusoe e le orme di Venerdì sono uno degli esempi perfetti della non esistenza del tempo e dell'identità che fa un capolavoro. Spero che vediate ciò che dico ma comunque chiunque conosce Robinson Crusoe e le orme di Venerdì sa che è vero. Non c'è tempo né identità nel modo in cui è successo ed ecco perché non c'è spavento.

E quindi ci sono pochissimi capolavori naturalmente ci sono pochissimi capolavori perché essere capaci di sapere cosa significa non avere identità e tempo ma non preoccuparsi di parlare come se ci fossero perché ciò non interferisce con niente e continuare a essere non come se non ci fossero tempo e identità ma come se ci fossero ed esistere contemporaneamente senza tempo e identità è così semplice che è difficile trovare molti che lo siano. E naturalmente è questo che un capolavoro è ed ecco perché ce ne sono così pochi e tutti lo sanno.

A cosa serve essere un bambino se poi crescerai per essere un uomo. E a cosa serve non serve a niente dal punto di vista dei capolavori non serve a niente. Lo sanno tutti.

Non serve proprio a niente essere un bambino se poi crescerai per essere un uomo perché poi l'uomo e il bambino puoi stare certo che la cosa continua e un capolavoro non continua è com'è ma non continua. È molto interessante che nessuno si accontenti di essere un uomo e un bambino ma abbia bisogno di essere anche un figlio e un padre e il fatto che tutti muoiono ha qualcosa a che vedere col tempo ma non ha niente a che vedere con un capolavoro. La parola puntuale com'è usata nelle nostre frasi è molto interessante ma uno può chiunque può vedere che questo non ha niente a che vedere con i capolavori lo sappiamo tutti. La parola puntuale dice che i capolavori non hanno niente a che vedere col tempo.

È molto interessante avere dentro di sé che mai mentre ti conosci ti conosci senza guardare e sentire e guardare e sentire fanno sì che che tu sia qualcuno che hai visto. Se hai visto qualcuno lo conosci per com'è che si tratti di te stesso o di un qualsiasi altro e quindi l'identità consiste nel riconoscimento e riconoscendo perdi identità perché dopotutto nessuno sembra quello che sembra, non sembrano così lo sappiamo tutti di noi stessi e di chiunque altro. E quindi in qualsiasi modo è un problema e quindi scrivi tutti scrivono per confermare ciò che uno è e più uno lo fa più più uno sembra ciò che era e di questo è fatta l'identità anche di più e quell'identità non è ciò che chiunque può avere come una cosa da essere ma come una cosa da vedere. E siccome è una cosa da vedere nessun capolavoro può vedere ciò che può vedere se lo fa è puntualmente e ssiccome è puntualmente non è un capolavoro.

Ci sono talmente tante cose da dire. Se non ci fosse l'identità nessuno potrebbe essere governato ma siamo tutti governati da tutti ed ecco perché nessuno fa capolavori, e anche perché governare non non ha niente a che vedere con i capolavori non ha assolutamente niente a che vedere con l'identità ma non ha niente a che vedere con i capolavori. Ed è per questo che governare è occupare ma non è interessante, i governi occupano ma non sono interessanti perché i capolavori sono esattamente ciò che loro non sono.

C'è un'altra cosa da dire. Quando scrivi prima che ci sia un pubblico la cosa scritta è altrettanto importante di qualsiasi altra cosa e tu ami qualsiasi cosa tu abbia scritto. Quando arriva il pubblico naturalmente crea qualcosa cioè crea te, e quindi non tutto è così importante, qualcosa è più importante di qualcos'altro, il che non era vero quando tu eri tu cioè quando non eri tu così come ti conosce il tuo cagnolino.

E quindi eccoci qua e c'è talmente tanto da dire ma comunque non dico che non ci sia dubbio che i capolavori siano capolavori in quel modo e ce ne sono molto pochi.