sabato 10 ottobre 2015

Una foto non di Roberta Vinci


Nonostante il titolo del post, questa è una foto di Roberta Vinci.
Ma è di un'altra foto di Roberta Vinci che ti voglio parlare. Una che se io fossi Roberta Vinci mi farebbe arrabbiare. Molto.
In realtà mi sono arrabbiato anche senza essere Roberta Vinci. Molto.
Mo' ti spiego.
Mi ero appena seduto al solito tavolino del solito caffé dove vado ogni mattina dopo avere comprato il giornale e avevo appena appoggiato la tazzina fumante all'altra estremità del tavolino; ho aperto il giornale e, siccome è sabato, ho tirato fuori il supplemento del sabato, D. D come donna, lo dico per i non lettori della Repubblica.
Ho visto la copertina e mi sono arrabbiato. Molto.
Non mi sono arrabbiato perché in copertina c'era la faccia di Roberta Vinci. Mi sono arrabbiato perché in copertina, al posto della faccia di Roberta Vinci, c'era la faccia photoshoppata e taroccata di una persona che non esiste e la cui presenza in copertina aveva l'unico scopo di farmi pensare, a me, lettore, che quella tennista di carattere, che in copertina non c'era, assomiglia in tutto e per tutto a una qualsiasi delle migliaia di giovinette prive di carattere le cui facce ci sono quotidianamente imposte da pubblicità di ogni genere e tipo.
Avrei voluto pubblicare qui la foto di quella copertina, ma non avendola trovata ne pubblico un'altra, che appare nello stesso servizio fotografico.

 

E ti pare Roberta Vinci, questa? Perché i capelli sono diventati neri? Dove sono finiti nei, lentiggini ed efelidi? Da dove viene quella sfumatura azzurra negli occhi? Dove sono quei due bei segni ai lati della bocca? Dove sono le rughe? Come mai gli zigomi si sono spostati verso l'esterno e le guance si sono scavate? Come mai il collo è diventato più stretto?
Saranno anche domande retoriche, ma cacchio!, è mai possibile che un settimanale femminile, diretto da una donna, supplemento a un quotidiano che si pretende di sinistra pubblichi porcherie del genere? È mai possibile che questi idioti e, ahimé, queste idiote patentate non si rendano conto neanche un istante del messaggio che riceveranno tutte le bambine e giovinette che fanno sport sognando magari di diventare un giorno come Roberta Vinci?
Questo genere di cose mi fa ribollire il sangue. Da sempre. O almeno da un'abbondante quarantina d'anni, da quando cioè qualche ragazza ha incominciato a farmi notare come dietro le apparenze del giovane progressista, libertario eccetera che mi sforzavo di essere ci fosse ancora ben saldo sulle gambe un patetico maschilista di estrazione cattolica e piccolo borghese. Ma, ri-cacchio!, erano i primi anni '70. Da allora il mondo è cambiato. O no?
Sì, il mondo è cambiato. Ma vedendo la pseudo Roberta Vinci che mi osserva dalla copertina di D mi dico che ciò che è cambiato principalmente è la misura dei tappeti sotto i quali ci ostiniamo a nascondere la polvere. Tappeti ormai enormi, giganteschi, sesquipedali. Tappeti spessi, sempre più soffici, morbidi e allettanti. Tappeti di destra e tappeti di sinistra. Tappeti sui quali finiamo col camminare senza nemmeno più pensarci, dimenticando le tonnellate di porcherie che nascondono, come se fosse normale.
Ma normale non lo è. Per nulla.