Nonostante
il titolo del post, questa è una foto di Roberta Vinci.
Ma è di un'altra foto di Roberta Vinci che ti voglio parlare. Una che se io
fossi Roberta Vinci mi farebbe arrabbiare. Molto.
In
realtà mi sono arrabbiato anche senza essere Roberta Vinci. Molto.
Mo'
ti spiego.
Mi
ero appena seduto al solito tavolino del solito caffé dove vado ogni
mattina dopo avere comprato il giornale e avevo appena appoggiato la
tazzina fumante all'altra estremità del tavolino; ho aperto il
giornale e, siccome è sabato, ho tirato fuori il supplemento del
sabato, D. D come donna, lo
dico per i non lettori della Repubblica.
Ho
visto la copertina e mi sono arrabbiato. Molto.
Non
mi sono arrabbiato perché in copertina c'era la faccia di Roberta
Vinci. Mi sono arrabbiato perché in copertina, al posto della faccia
di Roberta Vinci, c'era la faccia photoshoppata e taroccata di una
persona che non esiste e la cui presenza in copertina aveva l'unico
scopo di farmi pensare, a me, lettore, che quella tennista di
carattere, che in copertina non c'era, assomiglia in tutto e per
tutto a una qualsiasi delle migliaia di giovinette prive di carattere
le cui facce ci sono quotidianamente imposte da pubblicità di ogni
genere e tipo.
Avrei
voluto pubblicare qui la foto di quella copertina, ma non avendola
trovata ne pubblico un'altra, che appare nello stesso servizio
fotografico.
E
ti pare Roberta Vinci, questa? Perché i capelli sono diventati neri?
Dove sono finiti nei, lentiggini ed efelidi? Da dove viene quella
sfumatura azzurra negli occhi? Dove sono quei due bei segni ai lati
della bocca? Dove sono le rughe? Come mai gli zigomi si sono spostati
verso l'esterno e le guance si sono scavate? Come mai il collo è
diventato più stretto?
Saranno
anche domande retoriche, ma cacchio!, è mai possibile che un
settimanale femminile, diretto da una donna, supplemento a un
quotidiano che si pretende di
sinistra pubblichi porcherie del genere? È mai possibile che questi
idioti e, ahimé, queste idiote patentate non si rendano conto
neanche un istante del messaggio che riceveranno tutte le bambine e
giovinette che fanno sport sognando magari di diventare un giorno
come Roberta Vinci?
Questo
genere di cose mi fa ribollire il sangue. Da sempre. O almeno da
un'abbondante quarantina d'anni, da quando cioè qualche ragazza ha
incominciato a farmi notare come dietro le apparenze del giovane
progressista, libertario eccetera che mi sforzavo di essere ci fosse
ancora ben saldo sulle gambe un patetico maschilista di estrazione
cattolica e piccolo borghese. Ma, ri-cacchio!, erano i primi anni
'70. Da allora il mondo è cambiato. O no?
Sì,
il mondo è cambiato. Ma vedendo la pseudo Roberta Vinci che mi
osserva dalla copertina di D mi
dico che ciò che è cambiato principalmente è la misura dei tappeti
sotto i quali ci ostiniamo a nascondere la polvere. Tappeti ormai
enormi, giganteschi, sesquipedali. Tappeti spessi, sempre più
soffici, morbidi e allettanti. Tappeti di destra e tappeti di
sinistra. Tappeti sui quali finiamo col camminare senza nemmeno più
pensarci, dimenticando le tonnellate di porcherie che nascondono,
come se fosse normale.
Ma
normale non lo è. Per nulla.