sabato 21 dicembre 2013

Chi l'avrebbe mai detto?

Il Quartetto Cetra
Se hai meno di 60 anni non sono sicuro che i nomi di Felice Chiusano, Tata Giacobetti, Virgilio Savona e Lucia Mannucci ti dicano qualcosa. Ma non importa: se vuoi scoprire o riscoprire dei capolavori della Televisione italiana, continua a leggere.
Quei nomi erano quelli dei componenti del Quartetto Cetra, che in casa mia, come in molte altre, era una specie di mito. Wikipedia mi informa che il quartetto fu formato a Roma nel 1940, debuttando al Teatro Valle con la canzone Bambina dall'abito blu. In questa sua prima versione però il quartetto era composto da quattro uomini, dei quali solo Tata Giacobetti sarebbe rimasto nella formazione definitiva, che nacque nel '47.
Uno dei primi successi del gruppo fu l'indimenticabile Oggi ho visto un leon, ascoltabile qui.
Ma la canzone che fece dei Cetra delle vere star fu Nella vecchia fattoria.
Nel 1961 la RAI lanciò il programma Studio uno, la cui sigla iniziale, Da-da-un-pa era cantata dalle Gemelle Kessler. Da notare che le due teutoniche fanciulle cantavano nascondendo le gambe sotto dei casti collant neri che erano stati loro imposti dalla censura, come si può vedere qui.
Il Quartetto Cetra fece varie apparizioni in quella prima edizione, ma occupò un posto in più importante nella seguente ('62/'63), con una serie di mini riduzioni televisivi di grandi testi, della durata di un quarto d'ora circa. La sigla delle riduzioni era sempre basata su una stessa canzone, Cinema, che passione!, con il testo che cambiava però ogni settimana. Ecco per esempio quello per Robin Hood:
Cinema, cinema, che passione!
Se in pieno Medio Evo è ambientato un bel filmone
Mi piacciono gli arcieri, i re delle crociate
Gli storici manieri, le spade sguainate
Mi piacciono le lotte per il trono d'Inghilterra
Le ricchezze favolose, le foreste misteriose
E le gesta di Robin Hood.
Visto il successo di quelle stravaganti parodie, l'anno successivo la RAI chiese ai magnifici quattro di lavorare a otto trasmissioni di un'ora abbondante. Così nacquero Il conte di Montecristo, Il fornaretto di Venezia, I tre moschettieri, Il Dr. Jekill e Mr. Hyde, La storia diRossella O'Hara, La primula rossa, Al Grand Hotel e Odissea, che potrai goderti una per una cliccando sui titoli.
Le trasmissioni portavano il titolo generico di Biblioteca di Studio uno e anche qui non resisto alla tentazione di riportare il testo della sigla:
Vieni vicino, dammi la mano, siediti accanto a me
Non usciremo, ma passeremo tutta la sera insiem'
Se un libro sfoglierem', che sogni noi farem'!
Vieni qui e insiem' leggiamo.
Come per gioco, a poco a poco noi ci trasformerem'
E piano piano forse lontano noi ci ritroverem'
Un sogno sembrerà, purtroppo volerà
Vieni qui e insiem' leggiamo.
Lo strano in tutto ciò, direi il gradevolmente strano, è venuto fuori stamattina. Dando un'occhiata a Facebook ho visto che un'amica canadese mi proponeva un link verso un discorso di Angela Davis. Anche qui forse se hai meno di 60 anni una piccola spiegazione è necessaria. La Davis era una militante comunista nata a Birmingham, Alabama, cioè a dire in un posto dove le persone di colore come lei non avevano diritto di sedersi sulle stesse panchine dei bianchi, di andare negli stessi locali, di fare la pipì negli stessi gabinetti pubblici, ecc. ecc. Aveva frequentato varie università, tra le quali quella di Francoforte e la Sorbona, finendo col diventare assitente all'UCLA (University of California, Los Angeles). Nel 1970 fu accusata di terrorismo dall'FBI. Arrestata in ottobre, passò due anni in prigione, ma il suo arresto provocò un'ondata di proteste non solo in America, ma anche in Europa. Alla fine, la Davis vinse il suo processo con formula piena.
Mentre era ancora in prigione, i Rolling Stones le dedicarono la canzone Sweet Black Angel, mentre John Lennon e Yoko Ono scrissero per lei Angela.
Ora, mi dirai tu, a prima vista Angela Davis e il Quartetto Cetra hanno tante ragioni di apparire in uno stesso post quante ne avrebbero Madre Teresa e i Sex Pistols. Ma ti sbaglieresti, ed è proprio quello che ho scoperto stamattina. Figurati che il primo gruppo musicale che scrisse una canzone dedicata ad Angela Davis fu proprio il Quartetto Cetra, che la cantò in diretta nella trasmissione Stasera sì del 7 novembre '71. Non ci speravo, ma ho trovato la registrazione, che puoi ascoltare qui.
Da oggi il Quartetto Cetra mi è ancora più simpatico di prima.

Angela Davis negli anni '70

lunedì 16 dicembre 2013

Di Mandela

Nelson Mandela e Walter Sisulu 
nella prigione di Robben Island

Questa mattina ho trovato su Facebook un link verso un articolo intitolato Perché l'Occidente adora Mandela? L'iconizzazione e la santificazione di un conciliatore e pacificatore utile. Il pessimo articolo è apparso in francese sul sito in francese del think tank canadese Global Research (che però non lo pubblica sul suo sito in inglese). È firmato Luis Basurto. Ovviamente mi sono chiesto chi fosse questo signore, ma non sono riuscito a saperlo. Di Luis Basurto su internet ne ho trovati solo tre: un drammaturgo messicano morto nel 1990, un fisico e un matematico.
Perché ho trovato pessimo l'articolo? Innanzitutto per le sue inesattezze. Dire, per esempio, che "fin dall'inizio degli anni 80 gli uomini al potere lo scelsero [Mandela] come interlocutore privilegiato e quasi unico" è dimenticare che il potere in quegli anni era nelle mani di Pieter Botha, quello stesso che non negoziò mai con l'ANC e andò fino a bombardare gli uffici di quel partito nello Zambia, nello Zimbabwe e nel Botswana (maggio 1986).
Sostenere che "le prese di posizione di Mandela sul futuro del mondo non avevano molta influenza sul corso delle cose, né comportavano costi personali o troppi rischi per lui", dimenticando che alla metà degli anni '80 Mandela era già in prigione da più di vent'anni per scontare un ergastolo, è semplicemente grottesco, oltre che insultante.
Scrivere che, sempre verso la metà degli anni '80, i bianchi al potere "seppero alimentare il mito della sua persona [Mandela] e lusingare l'uomo, la sua persona fisica" richiederebbe almeno una spiegazione: come si fa ad alimentare il mito di qualcuno e soprattutto a lusingarlo, anche fisicamente, mantenendolo in prigione? Nel febbraio 1985 Botha offrì la scarcerazione a Mandela in cambio del "rifiuto incondizionale della violenza come arma politica"; a ciò Mandela rispose attraverso sua figlia: "Che libertà mi offrono mentre l'ANC rimane vietata? Solo uomini liberi possono negoziare. Un prigioniero non può avere contatti."
A queste approssimazioni e false verità storiche viene ad aggiungersi il tono generale dell'articolo, che tende a sminuire il ruolo storico di Mandela e a farne un mito creato dai bianchi. Questo argomento è innanzitutto un insulto a quei milioni di africani che hanno visto e continuano a vedere in lui un simbolo ancora più forte di Lumumba, di Sankara o di altri importanti personaggi dei movimenti di liberazione africani. Ma c'è altro: il ruolo fondamentale di Mandela non è stato quello di mettere fine all'apartheid. Quel sistema odioso e razzista morì da solo, distrutto dalla sua inefficenza e dagli effetti perversi che provocava. Intendiamoci: non sto dicendo che l'apartheid sarebbe comunque morto senza una lotta politica, anche armata, pluridecennale, né senza quel clima internazionale che l'imprigionamernto prolungato di Mandela aveva tanto contribuito a creare; sto dicendo che il ruolo fondamentale di Mandela è stato quello di evitare una guerra civile sudafricana che a molti pareva ineluttabile nei primissimi anni '90.
Forse è bene ricordare che al momento della liberazione di Mandela esistevano in Sudafrica due movimenti importanti: l'ANC (African National Congress) di Mandela e l'IFP (Inkatha Freedom Party) di Mangosuthu Buthelezi. L'IFP era il movimento degli Zulu, popolo maggioritario nella regione dell'allora Natal (oggi KwaZulu-Natal). L'IFP era nato nel 1975. Dapprima alleato dell'ANC, se ne staccò in pochi anni, diventando rapidamente un collaboratore del potere bianco. Buthelezi fu nominato Primo Ministro del bantustan (regione autonoma) del KwaZulu, mentre l'esercito sudafricano addestrava le sue milizie. L'ovvio scopo del governo di Pretoria nel sostenere Buthelezi era di fomentare le divisioni all'interno dei movimenti di liberazione, in particolare indebolendo Mandela.
La situazione degenerò ulteriormente dopo la liberazione di 'Madiba', quando gli scontri tra ANC e IFP provocarono migliaia di morti. L'espressione più tragica di quegli scontri fu l'utilizzo dei 'collari di fuoco', quei copertoni pieni di benzina che venivano messi attorno al collo di un avversario e poi accesi con un fiammifero. I collari di fuoco non furono usati solo dall'IFP, ma anche dall'ANC. Basti ricordare che Winnie Madikizela, prima moglie di Mandela, dichiarò nell'86 "con le nostre scatole di fiammiferi e con i nostri collari libereremo il Paese."
Gli Zulu dell'IFP reclamavano l'indipendenza e la creazione di un regno indipendente, il cui sovrano avrebbe dovuto essere Goodwill Zwelithini kaBhekuzulu, re tradizionale del suo popolo. Per questo l'IFP fece tutto il possibile per boicottare le prime elezioni libere sudafricane, cambiando posizione solo all'ultimo minuto, quando Buthelezi capì che la battaglia sarebbe stata persa.
Credo si possa dire oggi che è solo grazie all'immensa popolarità, al carisma e all'intelligenza politica di Nelson Mandela che il Sudafrica evitò una guerra civile.
Io in Sudafrica ho avuto la fortuna di andarci (e non da turista) tre volte nella seconda metà degli anni '90, quando Mandela era presidente. A quei tempi Johannesburg era una delle città più pericolose del mondo; oggi è la cinquantesima per numero di omicidi rispetto alla quantità di abitanti, dietro Medellin o San Salvador, ma anche dietro New Orleans e Baltimora.
In uno di quei viaggi ebbi modo di andare in una prigione giovanile del Transvaal, dove incontrai vari ragazzi condannati anche a pene pesanti per omicidio o aggressione a mano armata. Inutile dire che i soli bianchi di cui mi ricordi in quella prigione siano, oltre a me e al collega marionettista che accompagnavo, una buona parte delle guardie.
Ricordo i primi quartieri 'grigi' di Johannesburg, quelli cioè dove, poco per volta, bianchi e neri si incrociavano. Tutti i negozi, alimentari e non, avevano delle grosse sbarre di ferro che impedivano di entrare: bisognava prima suonare il campanello e poi aspettare che il commesso aprisse, cosa che faceva dopo aver guardato bene fuori dalla porta.
Ricordo anche la strana sensazione che provai un mattino andando a passeggiare in un quartiere residenziale bianco. Non vidi nessuno a piedi, fino a che un paio di guardie armate non sbucarono fuori domandandomi cosa stessi facendo. Lungo le vie c'erano solo muri di quattro, cinque metri, sovrastati da telecamere e filo spinato elettrificato, che proteggevano le ville dei privilegiati. Una volta sola osai fare qualche centinaio di metri a piedi in centro, la zona più pericolosa della città, in compagnia di un abitante del posto. Posso dire che gli unici momenti di simile paura urbana nella mia vita li ho provati a Sarajevo durante la guerra e a New York, quando nei primi anni '70, sbagliando la stazione di metropolitana alla quale dovevo scendere, mi trovai nel cuore di Harlem verso mezzanotte.
È indubbio che ancora oggi il Sudafrica sia un Paese nel quale l'uguaglianza resta un traguardo lontano. L'AWB, Afrikaner Weerstandsbeweging (Movimento di Resistenza Afrikaner), fondato nel 1973 da Eugène Terre'Blanche, esiste ancora, anche se è diventato un gruppuscolo di fanatici che vanta 5000 membri su una popolazione di 53 milioni (dei quali meno di 6 milioni di origine europea). È altrettanto indubbio che una fetta sproporzionata del potere economico e finanziario sia nelle mani della minoranza bianca. Ma cosa sarebbe oggi questo Paese se dopo 27 anni di prigione Mandela si fosse comportato come l'avevano fatto Mugabe nello Zimbabwe, Obote in Uganda, o Sékou Touré in Guinea?
La Commissione per la Verità e la Riconciliazione voluta da Mandela nel '95 non ha indubbiamente raggiunto tutti gli scopi che si era prefissa. Se l'ex-presidente Botha la definì "un circo", anche i familiari di Steven Biko, assassinato dalla polizia nel '77, se ne dichiararono insoddisfatti. Ciò nonostante quella Commissione resta un esempio unico di tentativo di passaggio senza violenza da un regime oppressivo a uno democratico.
L'articolo di Luis Basurto dal quale questo post ha preso spunto difende posizioni marginali, basate su un revisionismo di bassa lega e su un'apparente incapacità a concepire la Storia altrimenti che come una successione di scontri cruenti tra gruppi ideologici e/o etnici contrapposti. L'avessi trovato sul sito di CasaPound o di qualche altro gruppuscolo, non ne sarei stato sorpreso. È vero che su quei siti non avrei potuto trovarlo, perché ha l'apparenza di qualcosa di ben più solido e documentato di ciò che vi si trova di solito. Ma proprio per questo è più viscido e pericoloso. E proprio per questo ho voluto reagire.

martedì 10 dicembre 2013

Appello

Per la prima volta pubblico su questo blog un testo non mio. Si tratta dell'appello già firmato da 560 intellettuali e scrittori contro i sistemi di sorveglianza.


Negli ultimi mesi è diventato di dominio pubblico in che misura viene esercitata la sorveglianza di massa. Basta qualche clic e lo stato può accedere al vostro cellulare, alla vostra posta elettronica, alla vostra attività sui social network e alle ricerche su Internet. Può seguire le vostre simpatie e attività politiche e, in collaborazione con le grandi società di Internet, raccoglie e archivia i vostri dati, potendo così prevedere i vostri consumi e il vostro comportamento. 


L'inviolabile integrità dell'individuo è il pilastro fondamentale della democrazia. L'integrità umana va oltre la fisicità corporea. Tutti gli esseri umani hanno il diritto di non essere osservati e disturbati nei loro pensieri, nel loro ambiente personale e nelle comunicazioni.

Questo diritto umano fondamentale è stato annullato e svuotato dall'uso improprio che stati e grandi imprese fanno delle nuove tecnologie a fini di sorveglianza di massa.

Una persona sotto sorveglianza non è più libera; una società sotto sorveglianza non è più una democrazia. Per mantenere una qualche autenticità i nostri diritti democratici devono valere nello spazio virtuale come in quello reale.
* La sorveglianza viola la sfera privata, e compromette la libertà di pensiero e di opinione.
* La sorveglianza di massa tratta ogni cittadino alla stregua di un potenziale sospetto. Sovverte una delle nostre conquiste storiche, la presunzione di innocenza.
* La sorveglianza rende l'individuo trasparente, mentre lo stato e le grandi imprese operano in segreto. Come abbiamo visto questo potere è oggetto di abusi sistematici.
* La sorveglianza è furto. Questi dati non sono proprietà pubblica: appartengono a noi. Nel momento in cui vengono usati per prevedere il nostro comportamento veniamo derubati di qualcos'altro: il principio del libero arbitrio, fondamentale per la libertà democratica.

Rivendichiamo il diritto di tutte le persone a determinare, in quanto cittadini democratici, in che misura possa avvenire la raccolta, archiviazione e elaborazione dei propri dati personali e ad opera di chi; il diritto di essere informati sulle modalità di archiviazione dei propri dati e sull'uso che ne viene fatto; di ottenere la cancellazione dei propri dati nel caso in cui siano stati raccolti e archiviati illegalmente.

FACCIAMO APPELLO AGLI STATI E ALLE IMPRESE perché rispettino questi diritti.

FACCIAMO APPELLO A TUTTI I CITTADINI perché lottino in difesa di questi diritti.

FACCIAMO APPELLO ALLE NAZIONI UNITE perché riconoscano l'importanza fondamentale della protezione dei diritti civili nell'era digitale e della creazione di una Carta internazionale dei diritti digitali.

FACCIAMO APPELLO AI GOVERNI affinché sottoscrivano tale convenzione e vi aderiscano.


L'elenco dei firmatari è visibile qui.

venerdì 6 dicembre 2013

Due foto e una grande notizia

Questo post sarà breve. Non c'è nessun bisogno di farla lunga.
Secondo te, aprendo un giornale l'indomani mattina della morte di Nelson Mandela e vedendo un titolo che dice Matteo Renzi cambia le foto sullo sfondo nei programmi TV. E al posto di Napolitano arriva Nelson Mandela, uno cosa pensa? Ovviamente che il sindaco di Firenze abbia voluto approfittare in maniera subdola e un po' indecente della morte di Madiba.
Il titolo e l'articolo li ho visti sul sito dell'Huffington Post, giornale, è bene ricordarlo, la cui edizione italiana è diretta da Lucia Annunziata e realizzata in collaborazione tra l'Huffington Post Mediagroup e il Gruppo Editoriale l'Espresso.
Cominciamo dall'articolo, ammesso che si possano definire articolo sette righe e mezza petate di traverso da non si sa quale collaboratore del giornale. Vado direttamente alla terza riga: "Matteo Renzi lunedì ha pensato di sostituire le foto alle sue spalle." Come sarebbe, lunedì? Mandela è morto ieri sera, giovedì. Ma allora c'è davvero di che preoccuparsi: Renzi è un indovino, legge il futuro!
Ma andiamo avanti: "A Piazza Pulita, il sindaco di Firenze, aveva dietro di sè l'immagine con Nelson Mandela. Poche dopo (sic), anche se l'intervista era registrata, a Tiki Taka è ricomparso invece un più classico Giorgio Napolitano."
Aspetta un momento! Vuoi dire che la notizia che mi dai l'indomani mattina della morte di Mandela è che tre giorni prima Renzi ha sostituito la foto del leader sudafricano con quella di Napolitano? E perché mai l'avrebbe fatto? La risposta è nell'ultima frase dell'ignoto autore: "Evidentemente meno popolare del grande leader sudafricano per una trasmissione più "politica" come quella condotta da Corrado Formigli."
Ma, meschino, l'hai guardata la doppia foto che pubblichi? Ti sei accordo che le foto alle spalle di Renzi non sono state sostituite, ma spostate una al posto dell'altra? E secondo te per uno che aspira a diventare il leader della sinistra italiana e certamente il prossimo presidente del Consiglio, è meglio farsi vedere con dietro la foto ufficiale di Napolitano, presente in tutti gli uffici di tutti i sindaci della penisola, o con quella nella quale appare seduto sul letto del personaggio politico più incontestabile e incontestato di questi ultimi decenni, quello che, pur di averlo di fianco, un sacco di politici avrebbero venduto mamma, nonna e auto blu? E quella foto ti sembra meno "politica" dell'immaginetta di Napolitano?
Ma andiamo a vedere dove questo genio del giornalismo ha trovato questa sconvolgente notizia. Ce lo dice lui stesso, proponendoci un link verso il blog nonleggerlo. Beh, io su quel link ho cliccato e sai cosa ci ho letto? Esattamente il contrario. Dice l'Huffington Post che Matteo Renzi ha messo bene in vista la foto di Napolitano al posto di quella di Mandela. Ma dice nonleggerlo: "Ieri sera Matteo Renzi è stato ospite di due trasmissioni televisive molto diverse. Prima ha registrato Tiki Taka, andato in onda verso mezzanotte su Italia1. Programma calcistico, meglio dare risalto al Renzi patriottico (invento), avrà pensato quel geniaccio della comunicazione: alla sua sinistra infatti, la foto del presidente Napolitano. Poi eccolo su La7, a Piazza Pulita. Politica spinta, il voto delle primarie alle porte: e allora via di programmi, cifre, sogni, promesse. La foto del Presidente della Repubblica, che magari al pubblico di Formigli sta pure sulle scatole, scompare misteriosamente dietro la capoccia del sindaco di Firenze. Ora la scena è tutta di Renzi, che appare come per magia, mano nella mano con nonno Mandela."
Per uno, Renzi si è messo subdolamente in valore tirando fuori la foto di Mandela; per l'altro l'ha fatto tirando fuori quella di Napolitano.
In un caso come nell'altro, questo tipo di osservazione è molto più degno del sacchetto della spazzatura che di un giornale o di un blog con pretese di serietà, che si tratti di Renzi o di chiunque altro.
Quanto all'anonimo scribacchino del Post, viene davvero da consigliargli di cambiare mestiere e di vedere se c'è un posto libero nell'azienda che si occupa della nettezza urbana nel suo Comune di residenza.
Detto questo, ho scritto questo post perché trovo davvero schifoso lo stillicidio di pseudo-notizie, allusioni da quattrro soldi, vecchie foto e sottintesi di ogni genere messo in atto ormai da mesi da gran parte della stampa "di sinistra." Quando gli stessi metodi sono usati dal Giornale, da Libero o da Chi, il coro di vergini e di difensori della Verità è unanime. Perché questo silenzio di tomba quando la stessa dinamica ignobile viene messa in atto nei confronti di qualcuno che non piace a D'Alema, alla Bindi e ad altri esponenti di quella "sinistra" grazie alla quale ci siamo ritrovati con un ventennio berlusconiano?