sabato 4 maggio 2013

Delle interviste alla stampa

Sono basito da questa nuova polemichetta da quattro soldi a proposito delle dichiarazioni di Paolo Becchi, professore all'Università di Genova vicino al Movimento 5 stelle. Sono basito in generale di fronte alla posizione del M5s che consiste nel non dare interviste alla stampa (almeno a quella italiana).
Visto il mio lavoro, mi è capitato varie decine di volte di dare interviste in giro per il mondo e fin dalla prima (a un giornale di Toronto, nel '71) mi è stato chiaro che bisogna sempre pesare bene quel che si dice in quei casi. Alla radio o in televisione, tanto più quando non si va in diretta, è anche importante decidere quando si fa una pausa per respirare se non si vuole correre il rischio di vedere poi la frase troncata a metà, a significare qualcosa di diverso. Il mio ricordo più buffo è quello di un giornale di Singapore che intitolò una mia intervista: “Schuster declares: the spirit of the 60s is dead” (Schuster dichiara: lo spirito degli anni '60 è morto), manco fossi stato Jean-Paul Sartre o Herbert Marcuse.
Ma come parlare durante un'intervista è cosa che si impara rapidamente, non ci vuole un master in comunicazione a Harvard. Certo, ci sono buoni e cattivi giornalisti, virgolettatori abusivi e persone che cercano di restituire ciò che uno ha detto davvero, individui in buona fede e altri che vogliono sempre tirare la coperta dalla parte delle loro convinzioni. Ma non sparare imbecillità e non esporsi a fraintendimenti e manipolazioni non è poi così difficile.
Non parlare per paura di essere fraintesi è come cavarsi gli occhi per paura di vedere un film con Christian De Sica, come perforarsi i timpani per non correre il rischio di sentire una canzone di Riccardo Cocciante, come infilarsi del cotone nel naso per evitare di sentire il profumo al patchouli dell'ex sessantottina seduta di fianco a noi sull'autobus alle otto del mattino. A meno, naturalmente, che non sia una tattica pubblicitaria in totale malafede...
La stampa non è il babau, né l'uomo nero, né il lupo mannaro. La stampa non è necessariamente e intrinsecamente più forte di te. I giornalisti non sono cloni né di Darth Fener, né di Hannibal Lecter e neppure di Pietro Pacciani. Semplicemente, non sono stupidi e se sanno che tu li tratti da banditi e li accusi a priori di essere persone spregevoli, si difendono e sanno fartela pagare. Ma davvero la cosa è così scandalosa?
Il giornalista di base è ovviamente a caccia di scoop: sta a te non darglielo, se non vuoi. Ma accusarlo di vivere di scoop è come accusare Francesco Totti di prendere a calci un pallone. Tu parla pacatamente, misura le parole, mostra empatia e il giornalista sarà meno incline a ridicolizzarti. Dagli l'impressione di considerarlo come un nemico e a lui verrà naturale trattarti da nemico.
Fare di ogni erba un fascio e affermare che tutta la stampa è merda è di un infantilismo da far cadere le braccia. Scandalizzarsi di essere stati fraintesi è di una stupidità senza limiti. Ed è soprattutto di un'incredibile arroganza: vuoi farmi credere che tu non fraintendi mai nessuno, povero idiota? “Non è questo che intendevo”, “la mia frase è stata troncata”, “sono stato frainteso”, sono imbecillità da bambino sorpreso con le dita dentro il barattolo della marmellata e che dice che stava cercando il barattolo del sale. È patetico, è ridicolo, è puerile.
Mi viene in mente un'altra intervista, a una radio di Parigi. Stavo parlando del mio Ubu re e l'intervistatrice aveva già cercato un paio di volte di farmi dire che Jarry era un orrendo maschilista. A un certo punto ho inavvertitamente abbassato la guardia e lei, rapidissima, mi ha interrotto nel mezzo di una frase, ha fatto un brevissimo commento molto negativo e ha immediatamente fatto segno al tecnico di lanciare la musica. Quella volta mi sono fatto fregare. Colpa mia. E infatti mi sono molto arrabbiato con me stesso. Ma quella è stata l'ultima volta che mi sono fatto fregare.
Prima di farsi intervistare è sempre bene darsi una calmata, respirare profondamente, dirsi che non si sta partendo in guerra alla testa delle truppe beduine per riconquistare Aqaba, e presentarsi col sorriso sulle labbra. Se ci si fa vedere col coltello tra i denti è come dire “Ho paura! Ho paura!”. Il che è un invito a nozze per il cacciatore di scoop.
Ma il fondo di tutto questo è ancora più semplice: se parti con l'idea di avere capito tutto, con l'idea che tutto ciò che dirai è importante e che il mondo ha urgente bisogno di conoscere la tua opinione puoi star certo che quando leggerai l'intervista la troverai schifosa.
Mi viene un dubbio: non è per caso che sia così nei rapporti umani in generale?