domenica 20 gennaio 2013

Un peso sullo stomaco



Una breve ricerca su internet mi ha permesso di sapere cosa facevo la sera di domenica 5 ottobre 1958.
Avevo otto anni. La televisione in casa nostra era arrivata da poco. Qualche settimana, al massimo qualche mese. Me lo ricordo perché prima andavamo a casa dei vicini quando c'era qualcosa di speciale come il festival di Sanremo.
Naturalmente a quei tempi c'era un solo canale, in bianco e nero. Le trasmissioni cominciavano nel pomeriggio, con La TV dei ragazzi. A me piaceva guardare Rin Tin Tin, oppure Zorro, Ivanhoe (con Roger Moore), Chissà chi lo sa (presentato da Febo Conti), ma anche Zurlì, mago del giovedì, con Cino Tortorella. Oggi mi chiedo perché nessuno si chiami più Febo, o Cino, o magari Cinico, come il mitico direttore dell'orchestra del festival di Sanremo, Cinico Angelini, collega di Gorni Kramer. Ma passiamo...
La sera di domenica 5 ottobre 1958, alle 9 meno 10, ho di sicuro guardato Carosello. Ecco il link verso la storica sigla: http://www.youtube.com/watch?v=jK9_lc1bGVk.
Alla fine di Carosello, essendo abbastanza grande da ignorare il famoso invito di Topo Gigio (...E dopo Carosello, tutti a nanna), me ne sono rimasto lì, con mia madre, a guardare il programma delle 9: Alfred Hitchcock racconta.
Era una serie di brevi telefilm di 26 minuti presentati dal “maestro del brivido”, un signore grassottello con un po' di gozzo doppiato da Carlo (detto Carletto) Romano, famoso doppiatore che dava la sua voce anche a Jerry Lewis e al sergente Garcia di Zorro, nonché a Louis de Funès, Ernest Borgnine, Peter Ustinov, Eli Wallach, Rod Steiger e Fernandel.
Quella sera il telefilm era intitolato Un peso sullo stomaco. L'ho trovato su internet, anche se in versione originale non sottotitolata. Se volessi guardarlo anche se non capisci l'inglese, l'intrigo è molto semplice.La storia si svolge in Malesia. Un tale arriva a casa di un amico e lo trova a letto. L'amico gli dice che ha un serpente velenoso sulla pancia, sotto le lenzuola. Il tipo prima non ci crede, poi sì. I rapporti tra i due sembrano tesi, senza che si sappia bene cosa ci sia dietro. Il tale finisce col chiamare un dottore che inietta all'amico un siero anti-veleno. Il siero però può funzionare o no, non si sa. Il dottore decide allora di tramortire il serpente travasando sotto il lenzuolo una buona dosa di etere. Dopo un quarto d'ora d'attesa, con grande cautela, i due sollevano il lenzuolo. Il serpente non c'è. Il dottore se ne va. Restano i due personaggi principali. La fine la capirai anche senza capire l'inglese...
Quella sera, davanti alla televisione, non immaginavo che per mesi, forse per anni, sarei stato turbato da quella visione. 
Se preferisci guardarti il telefilm senza sapere cosa avrei fatto per anni al momento di andare a letto, clicca sul link prima di leggere il resto: http://www.youtube.com/watch?v=J7oZ2LY2-GU.


Se invece preferisci sapere tutto subito, allora confesso che per mesi, se non anni, ogni sera, prima di mettermi sotto le coperte, mi sono accertato, stramaledicendo il “maestro del brivido”, che non ci fosse niente sotto il cuscino...  
Rivisto stamattina, in questa piovosa domenica di gennaio, per la prima volta da allora (!), il telefilm mi è sembrato molto bello, con quei lunghi piani-sequenza, quegli inquietanti primi piani e quel modo al contempo semplice e magistralmente perverso di far salire la tensione.

P.S. Appena un'ora dopo aver pubblicato questo post sono riuscito a ritrovare un altro telefilm che mi aveva terribilmente impressionato la sera del 14 aprile 1962. Faceva parte della serie Ai confini della realtà (The twilight zone). E questo è in italiano. Va forse ricordato che questo secondo telefilm è stato diffuso in piena guerra fredda, appena sei mesi prima della crisi dei missili di Cuba. Si intitola Tempo di leggere e lo troverete qui: 
http://www.youtube.com/watch?v=9YgkfRRL6c8 

martedì 15 gennaio 2013

Vuoto cosmico

 Pare incredibili che gli uomini politici italiani non abbiano ancora capito niente. Eppure è così.
Da settimane ormai Berlusconi fa quotidianamente i titoli principali di giornali e televisioni. Spara controverità, approssimazioni e contraddizioni alla velocità della luce, ma questo non importa. È lui che fa l'attualità, è di lui che si parla sempre e comunque, è nei suoi confronti che tutti sono obbligati a posizionarsi.
Si ha un bel dire che non ci si deve comportare così e che farlo significherebbe scendere al suo livello; lui intanto sale nei sondaggi e gli altri non si muovono, o scendono.
Combattere un rinoceronte con un acchiappamosche, magari spiegando che non sarebbe bello fare rumore, sarebbe assurdo. Eppure è esattamente quello che stanno facendo i leader storici della sinistra.
Se la loro credibilità fosse alta, se la gente guardasse a loro come persone veramente serie che si trovano ad aver a che fare con un buffone, chissà?, magari la tattica potrebbe anche funzionare. Ma visto che la percezione del livello di tutta la classe politica, o casta, che dir si voglia, da parte della stragrande maggioranza dei cittadini è vicino allo zero, questo è un suicidio. 
Ciò che manca tragicamente alla sinistra è la consapevolezza della propria debolezza. Credono davvero, questi signori, di essere ascoltati con serietà dal popolo italiano? Non sono davvero sufficienti i mille sondaggi che abbiamo visto negli anni sulla basilare mancanza di fiducia della gente nei loro confronti? È mai possibile che in poche settimane un vecchio ciarlatano riesca a recuperare sette, otto, nove punti percentuali senza che nessuno sia in grado di fermarlo? E quali sono le credenziali di gente così lontana dalla comprensione di come funziona oggi (oggi, non cinquant'anni fa!) una campagna elettorale?
Da una parte, un buffone; dall'altra, dei dinosauri. Ma che scelta ci si prospetta?
Qui non si tratta più di esaminare due programmi opposti, né si tratterà di questo quando sarà in corso la campagna ufficiale. Quando tutta una classe dirigente è squalificata, la gente vota (se vota) chiudendosi il naso. Oppure finisce per votare per piccoli candidati più o meno alterantivi che non potranno che complicare ancora di più l'inevitabile gioco di alleanze e spartizioni di poltrone dopo le elezioni.
Non c'è argomento politico che tenga di fronte a una campagna bassamente pavloviana come quella di Berlusconi. Lui, che sa bene di non avere niente di credibile da dire, non cerca di convincere nessuno. Non ne ha bisogno. Ciò che fa è essere lì, in prima pagina, tutti i giorni, imponendo agli avversari una tabella di marcia che loro sono totalmente incapaci di assumere.
Berlusconi non fa appello alla ragione, ma agli istinti. Naturalmente possiamo continuare a scandalizzarcene, a dire che il suo è un comportamento indegno, ad offuscarci della sua gigioneria, del suo maschilismo e del suo negare oggi ciò che aveva detto ieri. Ma visto che da vent'anni ormai sappiamo che è così che vince, non sarebbe ora di svegliarsi?
Il problema è che l'unico modo per svegliarsi sarebbe di avere qualcosa di concreto da dire ogni giorno, ma questo qualcosa di concreto la sinistra non ce l'ha. Ahinoi.

venerdì 4 gennaio 2013

Foto oscene

Gustav Klimt - Danae

È andata così: sfogliavo i siti dei quotidiani su internet e sono arrivato alla pagina dell'edizione americana dell'Huffington Post. Ho letto un paio di articoli, poi ho notato la foto di una donna obesa e praticamente nuda sotto il titolo "PHOTOS: Nudes Like You've Never Seen Before (NSFW)", nel quale l'acronimo NSFW sta per Not Suited For Work, ovvero indica, su internet, un contenuto che potrebbe valere un licenziamento a chi lo consultasse sul posto di lavoro. Ho cliccato sul titolo, me ne è apparso un altro: “Yossi Loloi Photographs Obese Women In The Nude, Challenges Traditional Notions Of Beauty”, ovvero “Yossi Loloi fotografa donne obese nude, sfida la nozione tradizionale di bellezza”. Lo so, una cosa così come titolo è un po' strana, ma visto che lo scopo di questo post non è di spiegare a chi non ha familiarità con i titoli dei giornali americani che laggiù i titoli sono diversi dai nostri, rendiamo pure omaggio ad Amatore Sciesa e tiremm innanz.
Il breve articolo inizia facendo riferimento a Lucian Freud e Peter Paul Rubens, il che già mi provoca un netto sollevamento sopraccigliare (e non solo perché Pieter Rubens è diventato Peter). Passata la prima frase, c'è la foto di una giovane donna in mutandine che, come me lo fa capire il seguito dell'articolo, pesa almeno 190 kili. Ma ecco come prosegue l'articolo:
Il progetto di Loloi, intitolato Full Beauty, si basa su fotografie di donne di almeno 190 chili. Con un profondo rispetto per i suoi soggetti e uno sguardo di sfida alla cultura pop e alla storia dell'arte, Loloi mostra quanto la storia del nudo femminile sia limitata. Mentre è raro vedere donne formose nella pubblicità, nello spettacolo, o perfino nell'arte contemporanea, le donne obese non vengono praticamente mai prese in considerazione in questi campi nonostante l'aumento del numero delle americane sovrappeso.
Facendoci vedere donne che pesano fino a 270 chili, Loloi offre una dolcezza e una bellezza a un tipo di corpo spesso ignorato. Sul suo sito web Loloi scrive: “Credo che abbiamo una 'libertà di gusto' e che non dovremmo essere riluttanti nell'esprimere l'importanza che le accordiamo. Limitare questa libertà significa vivere in una dittatura dell'estetica.”
Trovate le foto di Loloi scioccanti o confortanti? Segnalateci la vostra opinione.”

Non so bene come si scriva il suono di una pernacchia, ma se si scrive prut, allora ho propria voglia di scrivere pruuuuuuutprutttttttttttpruuuutpruuuttprutttpruuutprut!
Senonché, toltami la voglia di scrivere questa cosa fondamentale, mi resta dell'amaro in bocca. Ma vogliamo smetterla, soprattutto nel mondo dell'arte, di dire che tutto è, o almeno può essere uguale a tutto? Non è vero! Un'opera di Leonardo da Vinci e una serie di strisce bianche e nere non sono uguali, anche se le strisce sono firmate Daniel Buren. E una donna di 60, 80 o 100 chili non è uguale a una di 190 o di 270 chili. Perché? Perché l'obesità è una malattia e queste donne (ma lo stesso vale ovviamente per gli uomini) hanno diritto di essere curate. Secondo il dizionario Treccani, l'obesità è un'”abnorme aumento del peso corporeo, per eccessiva formazione di adipe nell’organismo”, e questo che si tratti di obesità complicata, primitiva, secondaria, androide o ginoide.
Le donne del reportage di Loloi non sono belle, sono ma-la-te e se c'è qualcosa di bello nei loro sguardi e nelle loro espressioni, qualcosa di toccante, questo qualcosa c'è malgrado la patologia ed è comunque questo qualcosa che può essere bello, non la patologia che, trasformata in spettacolo, diventa oscena. Le donne fotografate da Loloi sono malate almeno quanto lo sono le anoressiche adolescenti messe altrettanto oscenamente in mostra da numerosi rotocalchi femminili. Far credere a qualcuno che si ritrova a vivere dentro uno di quei corpi che il suo corpo è bello è una cosa immonda. Ripeto: non parlo di persone di 90, né di 120 o 140 chili, parlo di giovani donne sopra i 190, o magari sotto i 35.
Cosa vuol dire questa mia indignazione? Che penso che obese e anoressiche dovrebbero nascondersi, o che dovrebbero essere messe in prigione? No di certo. Ma l'abbietto sfruttamento del male altrui, del dolore altrui, è sempre e comunque cosa ignobile, e lo diventa ancora di più quando le si cercano giustificazioni pseudo-intellettuali.
Sul sito personale del fotografo appare così un articoletto di tale Gian Paolo Barbieri, fotografo di moda italiano, che non esita a citare una bellissima poesia di Walt Whitman, Canto il corpo elettrico:
capelli, seni, anche, pieghe dei ginocchi, braccia disinvolte, sono onde diffuse”. Senonché per arrivare al suo scopo Barbieri non esita a modificare le parole del poeta che, tradotte correttamente, sono “capelli, petti, fianchi, curva delle gambe, negligenti mani che cadono in completo abbandono” (trad. Enzo Giachino). Più in là Whitman continua: “Come vedo l'anima mia riflessa nella Natura, / come vedo attraverso una bruma un Essere d'inesprimibile compiutezza, sanità, bellezza, / vedo il capo ricurvo, le braccia incrociate sul petto, vedo la Donna”. Ripeto: inesprimile compiutezza, sanità, bellezza.
Sarà che Whitman è un poeta che amo profondamente da più di quarant'anni e che quindi mi irrita particolarmente vederlo usato e abusato in perfetta malafede, ma tutta questa storia mi puzza di sfruttamento, oltre che di stupidità. Sfruttamento, una volta ancora, della donna e del suo corpo, già insopportabilmente usato da pubblicità e cinema; stupidità di gente che non esita a usare e abusare di argomenti pseudo-colti per giustificare le proprie trovate a scopo commerciale.
L'oscenità dell'uso di corpi malati non è diversa da quella dell'uso di corpi afflitti da altre sofferenze, fame, guerra, dolore, sfruttamento. Certo i reporter di guerra, per esempio, ben sanno quanto sia sottile la linea che separa una foto di denuncia da una priva di rispetto per il soggetto fotografato. Ma quel dilemma, nella trappola del quale alcuni cadono talvolta, non è autogenerato dal fotografo, è insito nella situazione fotografata. Ben diversa è la posizione di chi una situazione se l'inventa, freddamente, cercandosi poi giustificazioni a posteriori.
Nel lavoro di Loloi non vedo traccia di una qualsiasi “libertà di gusto”, come pretende il fotografo, ma piuttosto di una visione malata e totalmente priva di rispetto e compassione. Le foto di Loloi trasformano le donne obese in fenomeni da baraccone. Basta pensare allo sguardo completamente diverso che Diane Arbus aveva verso altri esseri umani, anche loro spesso afflitti da indicibili sofferenze, per capire quanto questo lavoro sia intriso di cinismo e di spregiudicato affarismo. Per questo non ho voluto pubblicare qui anche una sola di quelle immagini, preferendo un quadro di Klimt.
Detto questo, mi viene da chiedermi se ho fatto bene ad accordare qualche minuto a un fotografo che più che l'indignazione merita il silenzio.