venerdì 31 luglio 2015

Le foto desaturate

Le foto desaturate sono come tette siliconate.
Sono tutte uguali.
Attirano inevitabilmente lo sguardo, ma poi ti deludono subito.
Le foto desaturate sono tristi come una vacanza a Latina.
Vogliono essere artistiche, ma sono solo photoshoppate.
Le foto desaturate sono penose come un vestito Armani taroccato.
Sono come Skoda con incollato dietro un cavallino Ferrari.
Sono inni al conformismo più privo di immaginazione.
Sono risotti gialli con troppo poco zafferano.
Le foto desaturate sono come un vino che sa di tappo.
Sono noiose come una musica di Ludovico Einaudi.
Sono anoressiche.
Sono afone.
Sono molli come spaghetti troppo cotti.
Le foto desaturate sono monotone come l'autostrada del sole tra Parma e Modena.
Sono soporifere come un film porno giapponese.
Sono pedanti.
Sono pretenziose.
Sono scontate.
Le foto desaturate mi rompono le palle.

giovedì 2 luglio 2015

Go Bernie, go!


Anche se le prime primarie si svolgeranno all'inizio di febbraio dell'anno prossimo, il grande circo delle elezioni presidenziali americane è già in movimento. 23 sono i candidati dichiarati, ma probabilmente ne verranno fuori altri.

Qualche informazione sulle primarie.

Prima di tutto, non tutti gli Stati dell'Unione organizzano delle primarie: ben 18 di loro, oltre ai Territori delle Samoa Americane, di Guam, delle Isole Vergini Americane e di Puerto Rico non hanno primarie, ma caucus, ovvero riunioni informali organizzate dai partiti politici invece che dagli Stati, secondo regole che variano da un caso all'altro.

Seconda cosa: ci sono tre tipi di primarie: aperte, chiuse e semi-chiuse. Nelle aperte chiunque può votare per il partito di sua scelta (ma solo per un partito); nelle chiuse si può votare solo alle primarie del partito presso il quale ci si è in precedenza fatti registrare; nelle semi-chiuse i votanti registrati possono votare solo alle primarie del proprio partito, mentre i non registrati possono scegliere un partito senza previa registrazione.

Terza cosa: le primarie non eleggono dei candidati alle presidenziali, bensì dei delegati che voteranno per i candidati alla Convenzione del loro partito. La Convenzione Repubblicana si svolgerà a Cleveland dal 18 al 21 giugno 2016, la Democratica a Filadelfia dal 25 al 28 luglio.

Le elezioni presidenziali si svolgono sempre il martedì seguente il primo lunedì di novembre. Ma dal punto di vista legale il presidente degli Stati Uniti non è eletto dal popolo, bensì dal collegio elettorale di 538 membri che vota il primo mercoledì di dicembre. Non sto ad entrare in ulteriori dettagli perché mi ci vorrebbero pagine e pagine per spiegare tutto.

E veniamo alle elezioni dell'anno prossimo.

Lasciamo pure da parte i candidati dei vari partiti minori (Partito Verde, Partito Libertario, Partito della Costituzione, più una miriade di altri micro-partiti) e i possibili indipendenti (oggi come oggi ce ne sono già 13 in lizza) e concentriamoci sui due partiti maggiori.

Per il momento sono candidati 16 Repubblicani, 6 Democratici e un indipendente che si presenta alle primarie del Partito Democratico. Secondo un certo numero di osservatori, i Repubblicani perderanno “anche se il candidato Democratico fosse un panino al prosciutto”, secondo la formula apparsa in particolare sull'Huffington Post.

Fino a un paio di mesi fa nessuno dubitava che quel candidato non solo non sarebbe stato un panino al prosciutto, ma sarebbe stato Hillary Clinton.

Poi è arrivato Bernie.

Bernie può sembrare un nome strano per un candidato alla presidenza degli Stati Uniti, eppure è quel nomignolo che Bernie Sanders, senatore indipendente del Vermont, ha scelto di usare.

In Italia si parla pochissimo di Bernie, anzi direi che non se ne parla per niente. Ma credo che se ne parlerà.

Chi è Bernie Sanders? Ex-sindaco di Burlington, città di 42.000 abitanti, nonché capitale del Vermont (che con i suoi 627.000 abitanti è il penultimo Stato per popolazione), Bernie è un newyorkese di Brooklyn, nato da genitori ebrei nel 1941. È parlamentare, prima deputato, poi senatore, dal 1991, ma soprattutto è il primo parlamentare della storia americana che osa definirsi socialdemocratico. Ha spesso spiegato che il suo modello sociale preferito è quello scandinavo, basato su una forte tassazione dei ricchi, una copertura sociale universale, spese militari limitate e una forte politica in difesa dei più demuniti. Per questo fino a un paio di mesi fa Bernie era considerato come un marginale, ma poi...

Ma poi, da quando è entrato in campagna elettorale, le cose sono cambiate. Ooops...

Il fatto è che Bernie sembra davvero essere un candidato profondamente diverso da tutti gli altri, più diverso ancora di quanto non lo fosse il pacifista George McGovern nel 1972, che, riuscendo ad ottenere l'investitura democratica, permise la rielezione di Nixon, che fu votato da 49 Stati su 50 (l'eccezione fu il Massachusetts).

La cosa che ha incominciato a stupire sempre più americani è che Bernie sembra dire ciò che pensa, il che è molto strano. E lo fa in maniera visibile e verificabile, visto che le sue posizioni di oggi sono perfettamente coerenti con i voti da lui espressi durante la sua ormai lunga carriera. Contrariamente a Hillary Clinton, per esempio, lui era già a favore del matrimonio tra persone di uno stesso sesso nel 1996 (Hillary era opposta fino a due anni fa), votò contro il Patriot Act nel 2001 e contro l'invasione dell'Irak nel 2002, è da anni a favore di un netto aumento delle tasse per i più ricchi, della limitazione dell'utilizzo di fondi privati nelle campagne elettorali, della generalizzazione delle vacanze pagate (molti lavoratori negli Stati Uniti non hanno diritto a vacanze), della gratuità degli studi fino al College, della separazione tra Chiesa e Stato. Mi fermo qui, ma potrei continuare.

Bernie è un UFO nel panorama politico americano, normale che lo si trattasse da sognatore. Ma poi...

Ma poi la gente ha incominciato ad arrivare ai suoi meeting elettorali molto più numerosa del previsto. Giornali, radio e televisioni, che prima lo trattavano da vecchietto stravagante, hanno incominciato a prenderlo sul serio e i sondaggi hanno incominciato a dire che il suo ritardo iniziale sulla Clinton fondeva come neve al sole.

Qui potrai vedere un suo bellissimo discorso in Senato quattro anni fa. Ma se non hai voglia di papparti 13 minuti di inglese con l'accento di Brooklyn, ti ho tradotto le prime frasi:

C'è una guerra in corso in questo Paese e non parlo della guerra in Irak o della guerra in Afghanistan. Parlo della guerra portata avanti da alcune delle persone più ricche e potenti di questo Paese contro le famiglie dei lavoratori degli Stati Uniti d'America, contro la classe media del nostro Paese, che diminuisce e sparisce. La realtà è che molti dei miliardari del Paese sono sul sentiero di guerra: vogliono di più, di più, di più; la loro avidità è senza limiti e a quanto pare a loro non importa nulla del nostro Paese e del popolo del nostro Paese, se questi diventano ostacoli all'acccumulazione di fortune sempre più grandi e di potere sempre maggiore. Nel 2007 l'1% dei beneficiari dei guadagni in tutti gli Stati Uniti ha intascato il 23% di quei guadagni. L'1% ha intascato il 23%, ovvero più di quanto abbia guadagnato il 50% più povero della popolazione. A quanto pare questo non basta. La percentuale dei guadagni di quell'1% di ricchi è quasi triplicata dagli anni '70. Nella metà degli anni '70 l'1% dei più ricchi guadagnava circa l'8% del totale; negli anni '80 quella cifra salì al 14%; verso la fine degli anni '90 quella cifra salì al 19%; oggi, mentre la classe media sparisce, quell'1% guadagna il 23,5% dei guadagni totali.

Questo tanto per darti un'idea del tipo di persona che è Bernie. Uno che dice cose che nessun altro politico osa dire e che lo fa non usando argomenti vaghi e ideologici, ma fatti concreti e verificabili.

Ieri, a Madison, Wisconsin, davanti a 10.000 persone, Bernie ha fatto notare quanto sia aberrante che la ricchezza di una sola famiglia, quella dei Walton, proprietari del gruppo Walmart, sia superiore a quella dei 130 milioni di americani più poveri (circa 204 miliardi di dollari). “Questo livello grottesco di disuguaglianza, ha proseguito, è immorale, fa parte di un'economia sbagliata, non è sostenibile e non è ciò di cui gli Stati Uniti dovrebbero essere fatti.

Ma, si sa, la parola sacra negli Stati Uniti è community. È normale parlare di voto dei bianchi, di voto degli afroamericani, di voto ebreo, di voto latino e di tutta una serie di altri voti. E oggi il grosso problema di Bernie è il voto afroamericano, poiché presso quella community il vecchio senatore è pressoché sconosciuto.

Cosa succederà nei prossimi mesi? Difficile dirlo. Quello che è certo è che, giorno dopo giorno e settimana dopo settimana, l'impensabile incomincia a sembrare meno impossibile.

Altro problema fondamentale: i soldi. Tre anni fa i repubblicani hanno speso quasi 992 milioni di dollari per la campagna presidenziale di Mitt Romney, i Democratici quasi 986 per quella di Barack Obama. Ovviamente Bernie non arriverà mai a queste cifre, semplicemente perché chi le dà ai due partiti maggiori è proprio quel gruppetto di ricchissimi contro i quali lui fa campagna. Lo strano è però che lui ha già raccolto più di 8 milioni di dollari, ovvero più di qualunque candidato repubblicano nello stesso periodo quattro anni fa, e che questi soldi sono arrivati in grande maggioranza via internet da donatori individuali che hanno versato in media 45$. E questa è già di per sé un'anomalia, il sintomo di una vera grassroots campaign, una campagna con un'autentica quanto inattesa base popolare. Per i pessimisti tutto questo si sgonfierà come un palloncino bucato appena la Clinton e i suoi miliardi entreranno in gioco; per gli ultra-ottimisti Bernie ha davvero la possibilità di essere eletto Presidente.

Comunque vadano a finire le cose, qualcosa sta succedendo negli USA, qualcosa che merita attenzione e informazione. Il che per il momento non sembra preoccupare molto la stampa nostrana.