Anche
se le prime primarie si svolgeranno all'inizio di febbraio dell'anno
prossimo, il grande circo delle elezioni presidenziali americane è
già in movimento. 23 sono i candidati dichiarati, ma probabilmente
ne verranno fuori altri.
Qualche
informazione sulle primarie.
Prima
di tutto, non tutti gli Stati dell'Unione organizzano delle primarie:
ben 18 di loro, oltre ai Territori delle Samoa Americane, di Guam,
delle Isole Vergini Americane e di Puerto Rico non hanno primarie, ma
caucus, ovvero riunioni
informali organizzate dai partiti politici invece che dagli Stati,
secondo regole che variano da un caso all'altro.
Seconda
cosa: ci sono tre tipi di primarie: aperte, chiuse e semi-chiuse.
Nelle aperte chiunque può votare per il partito di sua scelta (ma
solo per un partito); nelle chiuse si può votare solo alle primarie
del partito presso il quale ci si è in precedenza fatti registrare;
nelle semi-chiuse i votanti registrati possono votare solo alle
primarie del proprio partito, mentre i non registrati possono
scegliere un partito senza previa registrazione.
Terza
cosa: le primarie non eleggono dei candidati alle presidenziali,
bensì dei delegati che voteranno per i candidati alla Convenzione
del loro partito. La Convenzione Repubblicana si svolgerà a
Cleveland dal 18 al 21 giugno 2016, la Democratica a Filadelfia dal
25 al 28 luglio.
Le
elezioni presidenziali si svolgono sempre il martedì seguente il
primo lunedì di novembre. Ma dal punto di vista legale il presidente
degli Stati Uniti non è eletto dal popolo, bensì dal collegio elettorale di 538 membri che vota il primo mercoledì di dicembre.
Non sto ad entrare in ulteriori dettagli perché mi ci vorrebbero
pagine e pagine per spiegare tutto.
E
veniamo alle elezioni dell'anno prossimo.
Lasciamo
pure da parte i candidati dei vari partiti minori (Partito Verde,
Partito Libertario, Partito della Costituzione, più una miriade di
altri micro-partiti) e i possibili indipendenti (oggi come oggi ce ne
sono già 13 in lizza) e concentriamoci sui due partiti maggiori.
Per
il momento sono candidati 16 Repubblicani, 6 Democratici e un
indipendente che si presenta alle primarie del Partito Democratico.
Secondo un certo numero di osservatori, i Repubblicani perderanno “anche se il candidato Democratico fosse un panino al
prosciutto”, secondo la formula apparsa in particolare
sull'Huffington Post.
Fino
a un paio di mesi fa nessuno dubitava che quel candidato non solo non
sarebbe stato un panino al prosciutto, ma sarebbe stato Hillary
Clinton.
Poi
è arrivato Bernie.
Bernie
può sembrare un nome strano per un candidato alla presidenza degli
Stati Uniti, eppure è quel nomignolo che Bernie Sanders, senatore
indipendente del Vermont, ha scelto di usare.
In
Italia si parla pochissimo di Bernie, anzi direi che non se ne parla
per niente. Ma credo che se ne parlerà.
Chi
è Bernie Sanders? Ex-sindaco di Burlington, città di 42.000
abitanti, nonché capitale del Vermont (che con i suoi 627.000
abitanti è il penultimo Stato per popolazione), Bernie è un
newyorkese di Brooklyn, nato da genitori ebrei nel 1941. È
parlamentare, prima deputato, poi senatore, dal 1991, ma soprattutto
è il primo parlamentare della storia americana che osa definirsi
socialdemocratico. Ha spesso spiegato che il suo modello sociale
preferito è quello scandinavo, basato su una forte tassazione dei
ricchi, una copertura sociale universale, spese militari limitate e
una forte politica in difesa dei più demuniti. Per questo fino a un
paio di mesi fa Bernie era considerato come un marginale, ma poi...
Ma
poi, da quando è entrato in campagna elettorale, le cose sono
cambiate. Ooops...
Il
fatto è che Bernie sembra davvero essere un candidato profondamente
diverso da tutti gli altri, più diverso ancora di quanto non lo fosse il
pacifista George McGovern nel 1972, che, riuscendo ad ottenere
l'investitura democratica, permise la rielezione di Nixon, che fu
votato da 49 Stati su 50 (l'eccezione fu il Massachusetts).
La
cosa che ha incominciato a stupire sempre più americani è che
Bernie sembra dire ciò che pensa, il che è molto strano. E lo fa in
maniera visibile e verificabile, visto che le sue posizioni di oggi
sono perfettamente coerenti con i voti da lui espressi durante la sua
ormai lunga carriera. Contrariamente a Hillary Clinton, per esempio,
lui era già a favore del matrimonio tra persone di uno stesso sesso
nel 1996 (Hillary era opposta fino a due anni fa), votò contro il
Patriot Act nel 2001 e contro l'invasione dell'Irak nel 2002,
è da anni a favore di un netto aumento delle tasse per i più
ricchi, della limitazione dell'utilizzo di fondi privati nelle
campagne elettorali, della generalizzazione delle vacanze pagate
(molti lavoratori negli Stati Uniti non hanno diritto a vacanze),
della gratuità degli studi fino al College, della separazione tra
Chiesa e Stato. Mi fermo qui, ma potrei continuare.
Bernie
è un UFO nel panorama politico americano, normale che lo si
trattasse da sognatore. Ma poi...
Ma
poi la gente ha incominciato ad arrivare ai suoi meeting elettorali
molto più numerosa del previsto. Giornali, radio e televisioni, che
prima lo trattavano da vecchietto stravagante, hanno incominciato a
prenderlo sul serio e i sondaggi hanno incominciato a dire che il suo
ritardo iniziale sulla Clinton fondeva come neve al sole.
Qui
potrai vedere un suo bellissimo discorso in Senato quattro anni fa.
Ma se non hai voglia di papparti 13 minuti di inglese con l'accento
di Brooklyn, ti ho tradotto le prime frasi:
C'è una guerra in corso in
questo Paese e non parlo della guerra in Irak o della guerra in
Afghanistan. Parlo della guerra portata avanti da alcune delle
persone più ricche e potenti di questo Paese contro le famiglie dei
lavoratori degli Stati Uniti d'America, contro la classe media del
nostro Paese, che diminuisce e sparisce. La realtà è che molti dei
miliardari del Paese sono sul sentiero di guerra: vogliono di più,
di più, di più; la loro avidità è senza limiti e a quanto pare a
loro non importa nulla del nostro Paese e del popolo del nostro Paese,
se questi diventano ostacoli all'acccumulazione di fortune sempre più
grandi e di potere sempre maggiore. Nel 2007 l'1% dei beneficiari dei
guadagni in tutti gli Stati Uniti ha intascato il 23% di quei
guadagni. L'1% ha intascato il 23%, ovvero più di quanto abbia
guadagnato il 50% più povero della popolazione. A quanto pare questo
non basta. La percentuale dei guadagni di quell'1% di ricchi è quasi
triplicata dagli anni '70. Nella metà degli anni '70 l'1% dei più
ricchi guadagnava circa l'8% del totale; negli anni '80
quella cifra salì al 14%; verso la fine degli anni '90 quella cifra
salì al 19%; oggi, mentre la classe media sparisce, quell'1%
guadagna il 23,5% dei guadagni totali.
Questo
tanto per darti un'idea del tipo di persona che è Bernie. Uno che
dice cose che nessun altro politico osa dire e che lo fa non usando
argomenti vaghi e ideologici, ma fatti concreti e verificabili.
Ieri,
a Madison, Wisconsin, davanti a 10.000 persone, Bernie ha fatto
notare quanto sia aberrante che la ricchezza di una sola famiglia,
quella dei Walton, proprietari del gruppo Walmart, sia superiore a
quella dei 130 milioni di americani più poveri (circa 204 miliardi
di dollari). “Questo livello grottesco di disuguaglianza,
ha proseguito, è immorale, fa parte di un'economia
sbagliata, non è sostenibile e non è ciò di cui gli Stati Uniti
dovrebbero essere fatti.”
Ma,
si sa, la parola sacra negli Stati Uniti è community.
È normale parlare di voto dei bianchi, di voto degli afroamericani,
di voto ebreo, di voto latino e di tutta una serie di altri voti. E
oggi il grosso problema di Bernie è il voto afroamericano, poiché
presso quella community
il vecchio senatore è pressoché sconosciuto.
Cosa
succederà nei prossimi mesi? Difficile dirlo. Quello che è certo è
che, giorno dopo giorno e settimana dopo settimana, l'impensabile
incomincia a sembrare meno impossibile.
Altro
problema fondamentale: i soldi. Tre anni fa i repubblicani hanno
speso quasi 992 milioni di dollari per la campagna presidenziale di
Mitt Romney, i Democratici quasi 986 per quella di Barack Obama.
Ovviamente Bernie non arriverà mai a queste cifre, semplicemente
perché chi le dà ai due partiti maggiori è proprio quel gruppetto
di ricchissimi contro i quali lui fa campagna. Lo strano è però che lui ha già raccolto più di 8 milioni di dollari, ovvero più di
qualunque candidato repubblicano nello stesso periodo quattro anni
fa, e che questi soldi sono arrivati in grande maggioranza via
internet da donatori individuali che hanno versato in media 45$. E
questa è già di per sé un'anomalia, il sintomo di una vera
grassroots campaign,
una campagna con un'autentica quanto inattesa base popolare. Per i
pessimisti tutto questo si sgonfierà come un palloncino bucato
appena la Clinton e i suoi miliardi entreranno in gioco; per gli
ultra-ottimisti Bernie ha davvero la possibilità di essere eletto
Presidente.
Comunque
vadano a finire le cose, qualcosa sta succedendo negli USA, qualcosa
che merita attenzione e informazione. Il che per il momento non
sembra preoccupare molto la stampa nostrana.