L'estero
Ho sempre detestato la parola “estero”.
Me la ricordo come una litania nella mia infanzia e adolescenza:
“all'estero non è così”, “si sta meglio all'estero”,
“all'estero lo sanno”. Come se noi italiani fossimo sempre stati
un angolo di ignoranza e sottosviluppo in un mondo ben più colto,
intelligente, raffinato e “moderno” (altra parola che detesto).
Questa mattina è un articolo sulla
prima pagina di Repubblica che mi ha irritato. L'articolo incomincia
così:
“Non è vero che il mondo è
piccolo, non sempre. Non per i gay. Negli stessi giorni, nello stesso
mondo, accadono cose opposte e lontanissime. E stanno accadendo tutte
insieme. Tranne che in Italia, dove pure è in corso una campagna
elettorale dove di tanto si parla, e si sparla, meno che di diritti
civili, messi ai margini del dibattito per evitare, specie a
sinistra, crepe nelle coalizioni”.
Ma è
proprio vero che nel mondo stanno “accadendo tutte
insieme” cose tanto
meravigliose?
Ho
cliccato world gay rights,
mi si è aperta una pagina
Wikipedia intitolata LGTB rights by country or territory,
e ho fatto qualche conto.
La
pagina prende in considerazione 239 paesi o territori, intendendo per
territori posti come l'Isola di Ascensione (britannica), le Samoa
Americane (statunitensi) , o Saint-Pierre e Miquelon (francese), che,
pur dipendendo da un paese lontano dispongono di una serie di leggi
puramente locali.
Ora,
su questi 239 paesi o territori, ce ne sono 80 nei quali ogni forma
di omosessualità è semplicemente illegale e 189 che non accordano
alcun diritto alle coppie omosessuali.
Limitandoci
all'Europa, su 52 paesi o territori (come l'Isola di Man, la
Groenlandia, o Gibilterra), mentre solo Cipro Nord considera illegale
l'omosessualità maschile (non la femminile), 32 non accordano alcun
diritto alle coppie omosessuali.
Quindi,
visto che su 239 paesi o territori del mondo solo 50 riconoscono dei
diritti alle coppie omosessuali, mi spieghi dove stiano “accadendo
tutte insieme” quel popò di
cose di cui il giornalista di Repubblica ci parla?
La
realtà, ahimé (e sottolineo ahimé) è ben diversa: In Uganda si
parla di pena di morte per gli omosessuali; in Russia è appena stata
passata una legge ancora più restrittiva delle precedenti; nel
Sudan, in Mauritania, in Nigeria, in Somalia, in Arabia Saudita,
negli Emirati Arabi Uniti, nello Yemen e in Iran la pena di morte è
tuttora in vigore.
Non mi
fraintendere: questo post non parla di omosessualità. Parla di
quell'insopportabile provincialismo che tanto spesso ci porta a
pensare che “all'estero” si stia meglio che da noi.
Quel
provincialismo altro non è che una forma d'infantilismo, quel modo
di pensare del bambino piccolo che vede sé stesso da una parte e il
resto del mondo dall'altra, come due cose diverse, anzi come le sole
due cose che esistano al mondo. È quel vittimismo così prettamente
italiano che ci spinge a credere che altrove si stia meglio e che è
una delle due facce di quella medaglia la cui altra faccia è il
vizio francese o statunitense di pensare che altrove si stia peggio.
Fino a
quando non accetteremo di essere unum inter pares,
di avere altrettanti pregi e difetti di qualsiasi altro popolo del
mondo, e magari di avere più pregi di qualche altro popolo e di
averne meno di qualche altro, continueremo a starcene qui a
piagnucolare sulla nostra sorte come bambini capricciosi e viziati,
incapaci di diventare adulti. Ed è così che continueremo a
permettere l'eterna clonazione di una classe politica che continuerà
a far appello ai nostri istinti più che ai nostri ragionamenti,
trattandoci per quel che siamo: degli irriducibili provinciali
incapaci di guardare al di là del nostro ombelico senza lasciarci
sopraffare da sentimenti d'inferiorità.