Sabato ho pubblicato un post sul ministro dell'interno francese, Brice Hortefeux. Avendo il ministro pronunciato nel settembre scorso delle parole insultanti verso un francese di origine magrebina, un tribunale lo ha condannato per propositi razzisti. Come facevo notare nel mio post, il magistrato era probabilmente comunista. Come dimenticai di notare, una condanna per fatti avvenuti nel settembre scorso è a tutti gli effetti, per noi italiani, cosa da marziani.
Se torno oggi su quei fatti è perché due uomini politici socialisti francesi, il deputato nonché membro del consiglio regionale dell'Île de France, la regione parigina, Julien Dray e il membro del consiglio costituzionale Michel Charasse, hanno dichiarato ieri che il ministro condannato “non è razzista”.
L'osservazione è interessante perché sembra suggerire che un individuo che commette un'infrazione debba essere assolto o condannato non per ciò che ha fatto, ma per ciò che è. Questo mi sembra un principio pericolosissimo e perfettamente contrario allo spirito della legge così come la concepiscono i paesi democratici.
Mi è capitato più di una volta di notare, leggendo inerviste di detenuti o guardando trasmissioni televisive, come persone che avevano commesso un delitto dicessero “non sono un assassino.” Le ragioni di queste dichiarazioni sono multiple, ma tendono sempre a dire “ciò che ho fatto non rispecchia ciò che sono.” E non dubito che, almeno in un certo numero di casi, l'ira del momento, le circostanze particolari, la perdita di controllo momentanea, possano scatenare meccanismi tali da portare, per esempio, all'omicidio persone che non si sarebbero mai aspettate di poter commettere un atto criminale.
Ma proprio questo è il punto: la differenza tra il colpevole e l'innocente non sta nel fatto che il primo sia intrinsecamente — direi quasi geneticamente — colpevole, bensì nel fatto che il primo si è lasciato andare a un atto reprensibile, mentre il secondo si è trattenuto. Ammesso e molto lungi dall'essere concesso che esistano dei colpevoli “genetici”, o anche solo dei “predisposti a commettere atti contrari alla legge”, questi allora dovrebbero essere premiati se tali atti non li commettono. Senonché ovviamente tutto questo sarebbe totalmente ingestibile e perfettamente assurdo.
Parlare, anche per colpe minori, del fatto che l'accusato è o non è una data cosa, che sia per affossarlo o per giustificarlo, o comunque per diminuirne la responsabilità, può apparire in certi casi come un gesto di compassione. I rischi però che la stessa logica possa essere usata in altri casi per appesantire una condanna sono tali che è sempre bene non cadere in quella trappola. Il Duce ha sempre ragione, si diceva una volta, significando che il buffone di Predappio era quintessenzialmente nel giusto, così come oggi altri considerano che lo è il Caro Leader Kim Jong-il, se non addiritura l'Amato Leader de Nojaltri, Silvio B. E non caso quello stesso Amato Leader sostiene che al di là di un certo limite fiscale, ci si può sentire “moralmente autorizzati” a evadere: la logica è la stessa. Se io, “geneticamente buono” considero che una legge è sbagliata, posso infrangerla e ho diritto al condono. Nulla a che fare qui con la nozione di disobbedienza civile, che implica l'accettazione della pena a cui si sa di andare incontro.
Per tornare alla Francia, non me ne importa niente che Brice Hortefeux sia o no razzista. Quel che m'importa e che abbia pronunciato, da ministro, parole razziste. E quel che m'importa ancora di più — e che mi fa sognare — è che sia stato condannato da un tribunale.