Sono
anni che mi dico che vorrei andarci. So che non ci andrò mai —
e non solo perché andarci è molto difficile e complicato. Non è
un'isola dei Mari del Sud, anche se è in mezzo al mare ed è a sud.
È un posto dove piove in media 252 giorni all'anno. La temperatura
massima mai registrata è di 24,4° e anche se la minima è di 4,6°
la cosa è poco consolante. La superficie è un quarto di quella
della Repubblica di San Marino, ma un buon terzo delle terre è occupato dai
pendii del vulcano Queen Mary's Peak. C'è un unico paese, dove abitano 293 persone.
La
prima isola di cui ho sognato in vita mia è stata quella di Robinson
Crusoe. Defoe la mette dalle parti di Trinidad, al largo del
Venzuela, anche se a ispirarlo è stata l'avventura vissuta da un
certo Alexander Selkirk, un pirata scozzese che fu volontariamente
abbandonato dal capitano della nave a bordo della quale si trovava su
un'isoletta che oggi porta il suo nome, a 700 chilometri dalle rive
cilene.
Più
tardi sono arrivate L'isola misteriosa di
Jules Verne e quella della Tortuga di Salgari, poi le Trobriand di
Malinowski e la Ta'u di Margaret Mead, la Pitcairn degli ammutinati
della Bounty, l'Isola di Pasqua e le Kerguelen. Ancora qualche giorno
fa, quando ho letto che l'isoletta di Little Ross — quasi 12
ettari, con un casa e un faro, al largo della Scozia — era in
vendita per 365.000€ non ho potuto evitare di pensare che beh, se
fossi ricco magari...
Ma
questa è diversa. Questa è la terra abitata più lontana da
un'altra terra abitata che ci sia al mondo. E quell'altra terra
abitata è anche lei uno sputacchio d'isola con poco più di 700
abitanti, più di 2.100 chilometri a nord, Sant'Elena. Se poi uno
vuole trovare dei negozi, dei ristoranti e un po' di facce
sconosciute ha la scelta tra farsi 2.431 chilometri verso est, per
arrivare a Città del Capo, oppure 3.415 verso ovest, per arrivare a
Montevideo. In nave, visto che sull'isola non c'è un aeroporto. Non
esiste al mondo posto più sperduto.
Le
uniche navi ad andarci con una certa regolarità sono dei pescherecci
sudafricani, otto o nove volte all'anno. Ogni tanto arriva anche una
nave da crociera, ma è raro. La nave deve buttare l'ancora al largo,
poi ci vogliono le scialuppe per sbarcare i pochi turisti che non vedono l'ora di bighellonare per le vie del paese, spingendosi magari fino ai campi di patate e ai pascoli delle pecore. Prima di partire comprano
qualche francobollo e magari un maglione e poi via di nuovo sulle scialuppe.
Sì,
lo so, gli abitanti non sono molto accoglienti. Per sbarcare devi
prima chiedere l'autorizzazione ed è già capitato che
quell'autorizzazione venisse rifiutata a qualche navigatore solitario
di passaggio che magari avrebbe voluto solo bersi un paio di birre in
compagnia di qualche altro essere umano, o mangiarsi un'aragosta o un
po' di carne di pecora con le patate dopo settimane e settimane di
solitudine.
Sì,
lo so, passare la vita in capo al mondo senza mai vedere più di 292
altre facce non può che indurirti e renderti diffidente verso tutto
ciò che viene dall'esterno.
Eppure
io su quell'isola sogno davvero di andarci. Anche se non ci andrò
mai.
Quello
che succede lo so da Facebook. Per esempio venerdì scorso la nave
Edinbugh ha lasciato l'isola con a bordo tre ragazze che andranno a
continuare i loro studi in Gran Bretagna. Scrivo queste righe e le
immagino a bordo. Ormai dovrebbero vedere da lontano le coste
sudafricane. Se tutto va bene sbarcheranno stasera. Chissà se è il
loro primo viaggio lontano da casa? Dove dormiranno a Città del
Capo? Quanti giorni si fermeranno prima di partire per Londra? E una
volta arrivate là come sopporteranno lo choc? Difficile da
immaginare.
Sì,
lo so, oggi sull'isola hanno una connessione internet, possono vedere
il mondo. Ma se penso al mio choc, quello della mia prima volta a New
York, città che avevo visto decine e decine di volte al cinema, se
penso a quel mio choc di ragazzo che comunque aveva sempre vissuto in
una grande città, non riesco ad immaginare nemmeno da lontano quale
sarà il loro.
Ricordo
quanto successe nel 1961. Un'improvvisa eruzione vulcanica spinse
tutti gli abitanti ad andarsi a rifugiare su un'isola deserta a 35
chilometri da casa. Da lì furono tratti in salvo da una nave
olandese, che li portò in Gran Bretagna. Ma due anni dopo, quando
venne loro proposto di scegliere tra restare in Inghilterra e tornare
a casa, la maggior parte delle famiglie decise di tornare, alla
faccia delle autostrade, degli scones, del tè delle 5 e della BBC.
Gente fiera. Gente solitaria.
Pare
che le rare volte che un italiano passa da quelle parti la prima cosa
che si sente chiedere è se è di Camogli. Già, perché tra gli otto
maschi e le sette femmine da cui tutta la popolazione discende, due
erano dei camogliesi, Gaetano Lavarello e Andrea Repetto, che vi
naufragarono nel 1892.
Va
bene, la smetto qui.
Una
sola cosa ancora: l'isola è ovviamente Tristan da Cunha. E mi fa
sognare.