Maschera di donna vietnamita
Bread and Puppet Theater
Spero
che Michele Serra non me ne vorrà se pubblico qui il testo integrale
della sua Amaca di
ieri mattina, ma il fatto è che il resto del mio post non sarebbe
comprensibile senza questa previa lettura.
Non
condivido una virgola di quanto pensa, a proposito di “famiglia”,
il movimento delle Sentinelle in Piedi,
scrive Serra. Ma è molto suggestiva la modalità della
loro presenza pubblica: silenziosa, composta, con un libro in mano.
Inevitabile il contrasto con le contromanifestazioni, in genere
variopinte e chiassose. Si coglie, di primo acchito, la
contrapposizione tra l'estroversione e la vitalità dei movimenti gay
e anti-omofobi, in rappresentanza di milioni di persone per secoli
costrette al silenzio e all'occultamento di sé; e la compunzione un
poco penitenziale delle Sentinelle, che richiama, in chi ha ricevuto
un'educazione cattolica, la ritualità non allegrissima nella quale è
cresciuto. Ma c'è anche una seconda lettura di quel contrasto, che
lentamente ma inesorabilmente si sta sovrapponenedo alla prima: il
silenzio e l'atto di leggere finiscono per essere, alla lunga, più
incisivi del fracasso, più “drammatici”, più comunicativi. E
soprattutto: più anticonformisti. Niente è più conformista del
baccano e del dileggio degli altri. Hanno fatto il loro tempo. A
fronteggiare le sentinelle ci vorrebbero altre figure silenziose e
leggenti (magari con in mano Jean Genet, Voltaire, Henry Miller,
Pasolini e altri autori “degenerati”) per vedere chi resiste più
a lungo. Oppure la parodia intelligente, come il ragazzo che a
Bergamo si unì alle sentinelle travestito da “nazista
dell'Illinois”, con Mein Kampf
in mano. Le Sentinelle, per l'occasione, hanno chiamato la Digos: un
travestito è pur sempre un travestito.
Il
trafiletto di Serra mi vede d'accordo con ognuna delle sue parole. Ma
se mi è venuta voglia di scrivere questo post è perché quelle parole mi hanno fatto tornare alla mente qualcosa che successe
molti anni fa.
Il
18 dicembre 1972 Richard Nixon diede inizio a una breve ma pesante
serie di bombardamenti sul Nord Vietnam e in particolare sulla
capitale, Hanoi. I bombardamenti andarono avanti fino al 24 dicembre,
poi furono sospesi per tre giorni, per riprendere in seguito il 28 e
il 29. Trattandosi del periodo natalizio, quei bombardamenti, che fecero molte vittime tra i civili,
suscitarono grande scalpore negli Stati Uniti, paese tradizionalmente
molto attaccato alle feste cristiane.
Io
in quel periodo ero nel Vermont con il Bread and Puppet e
ricordo il grande scalpore suscitato da quegli avvenimenti non solo in tutti noi oppositori alla guerra
in Vietnam, pacifisti, hippies, militanti, democratici, o comunque
uno ci volesse definire, ma anche in una fetta ben più larga della
popolazione.
Io ne fui così colpito che decisi di fare qualcosa, pur conscio che
quel qualcosa sarebbe stato solo una goccia d'acqua persa
nell'oceano. Così mi misi ad andare, giorno dopo giorno, a
Montpelier, la capitale del Vermont, distante una quindicina di
chilometri dalla fattoria dove abitavo con il resto del Bread and
Puppet. Ci andavo poco prima di mezzogiorno, in autostop,
portandomi dietro un costume nero (gonna lunga fino ai piedi e
casacca nera con cappuccio, una maschera di donna vietnamita e un cartoncino bianco legato a uno spago, sul quale c'era scritto
VIETNAM). Arrivato a Montpelier, andavo nella via principale,
opportunamente chiamata Main street. Lì, su un piccolo
spiazzo, quelli del Comune avevano messo un presepe i cui personaggi
erano di taglia umana. C'erano Giuseppe e Maria, con tanto di bue,
asinello e qualche pastore, dentro un piccolo recinto. Io mi infilavo
maschera e costume, mi mettevo il cartellino intorno al collo, scavalcavo la piccola barriera che proteggeva il presepe e me ne
stavo lì immobile, in mezzo alle statue, per un'ora, da mezzogiorno all'una, a significare
la presenza del Vietnam in piene celebrazioni natalizie. Poi, quando
sentivo scoccare l'una, mi toglievo maschera e costume e me ne andavo al caffé di
fronte a bermi una cioccolata calda, visto che la temperatura esterna
andava da -5° a -15° a seconda dei giorni e che starsene lì
immobile per un'ora, pur con due paia di calzettoni, tre golf
sovrapposti e delle lunghe mutande di lana non era cosa. Va detto che
a quei tempi gran parte della popolazione locale era pro-Nixon e che
al mio arrivo nel caffè c'era sempre qualcuno che rideva alle mie
spalle. Ma siccome il Vermont è uno stato fondamentalmente rurale e
siccome chi ci vive sa bene cosa vuol dire starsene al freddo, quelle
prime prese in giro si trasformavano rapidamente in conversazioni
nelle quali traspariva un certo rispetto nei miei confronti, rispetto
verso uno che se n'era stato immobile per un'ora in una temperatura
polare, pur se per motivi con i quali non si era d'accordo. E così si apriva un dialogo.
Successe
poi che già il terzo o quarto giorno qualcuno, vedendomi
regolarmente trasformato in statua del presepe, decise di unirsi a me, standosene lì
in piedi, accanto al recinto, per affermare così la sua solidarietà.
In breve le persone diventarono due, poi tre, fino a quando me ne
ritrovai un certo numero sia a destra che a sinistra.
Un
giorno però si avvicinò un pick-up che parcheggiò proprio lì
davanti. Attraverso gli occhi della maschera notai subito la sua
strana targa, che era una di quelle, personalizzate, che si possono
ottenere a pagamento negli USA. Invece dei soliti numeri e cifre, la
targa portava la scritta NIXON. "Guai in vista", mi dissi.
Dal pick-up scese un ragazzo di una trentina
d'anni. Senza degnarmi di un'occhiata salì sulla parte posteriore del veicolo, tirò fuori
un grande cartello sul quale aveva scritto non so più cosa a favore
di Nixon e dei bombardamenti in corso e si mise a fare ciò che
facevo io, cioè niente. Se ne stette lì, immobile, a fronteggiarmi.
Dopo
qualche minuto, guardando il riflesso sulle vetrine del bar, vidi che
si stava formando un piccolo capannello. C'era gente che guardava per
qualche istante e poi se ne andava via, ma altri si fermavano, chi
prendendo posto di fianco a me, chi di fianco al pick-up. Quando
sentii scoccare l'una mi dissi che naturalmente non potevo essere il
primo ad andarmene e continuai a starmene lì, immobile.
Cominciò
allora una lunghissima attesa: io aspettavo che se ne andasse quello del pick-up,
lui aspettava che me ne andassi io. Ad un certo punto arrivò
qualcuno con un thermos, offrendomi del te caldo. Io non mi mossi,
lui insisteva. Allora feci segno con la mano di offrirne prima al mio
“avversario”, che però rifiutò, dicendo “prima lui”. Non so
quanto la cosa andò avanti, credo più di un'ora. Ormai erano decine
le persone dalla mia parte, mentre quelli che ci facevano fronte
erano molto meno numerosi. Finalmente quello sul pick-up decise di
andarsene, forse non sopportando più il freddo, davvero pungente, e rapidamente se ne andarono anche i suoi sparuti sostenitori. Io
aspettai ancora qualche minuto, poi mi tolsi maschera e costume. Tutti quelli che erano rimasti lì con me vennero uno
per uno a stringermi la mano. Alcuni se ne andarono, altri
vennero con me a scaldarsi dentro al caffè.
Nei
giorni successivi non successe più nulla, ma i partecipanti alla mia manifestazione silenziosa diventarono decisamente più numerosi.
Non
mi sarei mai aspettato, tanti anni dopo, di vedere quel mio statuario modo di protestare — che qualche mese dopo misi in atto
anche a New York, di fronte all'ufficio di reclutamento dei Marines
sull'isoletta pedonale in mezzo a Times square — riinventato da
persone così lontane dal mio modo di vedere e di agire. Ma il
trafiletto di Serra, facendo riemergere quei ricordi, mi ha fatto
anche pensare all'inadeguatezza dei mezzi spesso impiegati dalla
“sinistra” per rispondere alla bigotteria e al conservatismo di
gente come le Sentinelle in Piedi; gente attaccata a valori di
esclusione e di rifiuto della diversità, gente abbarbicata a
ideologie (religiose e non) che non ammettono dialogo né scambio,
che demonizzano sistematicamente chi pensa o agisce diversamente, che
negano senza esitazione la dignità altrui. Forse, se venissi a
sapere in anticipo di una prossima manifestazione delle Sentinelle,
dovrei davvero fare ciò che suggerisce Serra, fabbricarmi un grosso libro di cartone con su scritti i nomi
di Genet, Voltaire, Miller e Pasolini, ai quali aggiungerei
volentieri Vonnegut, Ginsberg, Gertrude Stein e qualche altro, e
dovrei andarmene in piazza, accanto a loro, e starmene lì, immobile,
per tutto il tempo necessario. Senza fare chiasso.