Ci sono libri che compri per curiosità e libri che
compri per certezza. Con i primi sai che corri un rischio, ma è
proprio il piacere di quel rischio che te li fa comprare. Chissà,
magari li butterai via dopo venti pagine, ma magari ti apriranno
nuovi orizzonti, ti susciteranno nuove curiosità, o forse ti
offriranno semplicemente momenti di gioia.
Le cose sono molto diverse con i secondi: quell'autore
già lo conosci e lo ami, non solo sai che non ti deluderà, ma hai
anche la certezza che le ore che passerai in sua compagnia correranno
via veloci e dense come una passeggiata in campagna. Sai che ne
uscirai più fresco, più pieno di quel qualcosa di indefinibile che
solo la lettura ti può dare.
I due libri dei quali sto per parlare non li ho ancora
letti. Ma se parlare di libri non letti è un'occupazione salottiera
molto più diffusa di quanto si pensi, parlarne quando già ne
conosci l'autore è solo voglia di incitare
qualcun altro a scoprirlo.
Il primo libro è La pienezza del vuoto
di Trinh Xuan Thuan, astrofisico vietnamita, professore
all'università della Virginia, nonché ricercatore associato
all'istituto di astrofisica di Parigi. Scrive in francese. Ho già
letto cinque dei suoi libri. Il più bello, che consiglio vivamente a
tutti i curiosi, è Il caos e l'armonia –
Bellezza e asimmetrie del mondo fisico,
(in francese Le
chaos et l'armonie – La fabrication du Réel)
edito
da Dedalo nel 2000. È
una lunga e affascinante passeggiata di più di 500 pagine attraverso
l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo che si legge quasi
come un romanzo. È
un libro semplice, chiaro e affascinante.
Ho
poi letto La
mélodie secrète – Et l'homme créa l'univers
del 1991, inedito in Italia, Origines
– La nostalgie des commencements,
anche lui inedito, Dal
Big Bang all'Illuminazione
(in francese L'univers
dans la paume de la main – Du big bang à l'Éveil),
scritto con il monaco tibetano francese Matthieu Ricard, e Les
voies de la lumière – Physique et métaphysique du clair-obscur,
pure lui purtroppo inedito da noi.
Tanto
per darti un'idea, nella mia personalissima lista di divulgatori
scientifici preferiti Trinh è al primo posto, in compagnia
dell'irakiano-inglese Jim Al-Khalili (del quale ti consiglio in
particolare La
casa della saggezza – L'epoca d'oro della scienza araba)
e del nostro Carlo Rovelli (imperdibili i suoi Che
cos'è la scienza – La rivoluzione di Anassimandro e
La
realtà non è come ci appare – La struttura elementare delle cose,
nonché
i
più conosciuti Sette
brevi lezioni di fisica
e L'ordine
del tempo).
Autori come Stephen Hawking, Martin Rees, James Gleick e Guido
Tonelli, benché ottimi, li metto un gradino sotto.
Pare che Trinh abbia scritto queto libro per tutte le "persone di buona volontà" interessate alle nozioni scientifiche e filosofiche sviluppate nei secoli sul tema del vuoto. Come dire che l'ha scritto per me; ma mi auguro anche per te.
Davvero, non perderti Trinh.
Tutt'altra
lettura sarà quella di Le
migliori menti della mia generazione
di Allen Ginsberg. Il titolo viene evidentemente dal primo verso di
Urlo,
mitica poesia del 1955-'56, che nella traduzione di Fernanda Pivano
incomincia così:
Ho
visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia,
affamate nude isteriche
trascinarsi
per strade di negri all'alba in cerca di droga rabbiosa,
hipsters
dal capo d'angelo brucianti per l'antico contatto celeste con la
dinamo stellata nel macchinario della notte,
che
in miseria e stracci e occhi infossati stavano su imbottiti a fumare
nel buio soprannaturale di soffitte a acqua fredda galleggiando sulle
cime delle città contemplando jazz,
che
si squarciavano cervelli al Cielo sotto la Elevated e vedevano angeli
Maomettani illuminati barcollanti su tetti di casermette
che
passavano per le università con freddi occhi radiosi allucinati di
Arkansas e con tragedie Blakiane fra gli studiosi della guerra [ecc.]
Scrive
con giustezza il poeta e slammer
comasco Simone Savogin in un articolo su La
lettura,
supplemento al Corriere della sera:
E
pensare che quando uno legge Urlo
sente una sorta di richiamo a fare altrettanto, uno apre le braccia e
ride e pensa un misto tra «la voglio scrivere anch'io una cosa così»
e «chiunque può scrivere una cosa così», ma poi sbatte a viso
aperto contro tutte le sovrastrutture che ci portiamo addosso e che
non sappiamo scrollarci via e dalle quali non sappiamo scappare.
Questo
però non è un libro di poesie, è una serie di lezioni su Kerouac,
Burroughs, Corso e sé stesso nelle quali, secondo Savogin, si
sente tutto l'amore per le persone che ha conosciuto e ammirato, si
sente tutta l'urgenza di conoscere e far conoscere, si prova la sua
stessa estasi nell'analizzare passaggi con una nuova cognizione di
causa.
Di
Ginsberg ho il ricordo ancora vivissimo di quando lo vidi declamare
una sua poesia in pubblico, una sera dell'autunno del '74, a San
Francisco. A quella serata partecipavano anche il celestiale Lawrence
Ferlinghetti, la splendida Anne Waldman –
che di questo libro ha scritto la prefazione –
e altri due o tre poeti beat. Ginsberg lesse American
for Sale,
poesia forse mai pubblicata visto che non ne trovo traccia su
internet. Se ne stava seduto per terra in proscenio suonando un
organetto indiano e salmodiandoci sopra i suoi versi ripetitivi in
quello stile whithmaniano-rabbioso che lo rendevano così ammaliante,
seducente e roccioso. Momenti indimenticabili.
Mo'
ti lascio e corro in libreria a comprarmeli, questi due libri. L'unico
problema poi sarà decidere quale leggere prima. Mi sa che farò a testa o croce.