giovedì 8 gennaio 2015

Vuoto

Ieri ho pubblicato un post a caldo. Elena era uscita, poi mi aveva mandato un messaggino dicendomi che sarebbe rimasta a pranzo a casa di amici. Poco dopo l'una sono andato in cucina e ho messo a riscaldare nel microonde i resti degli spaghetti ai carciofi della sera prima. Ho acceso la televisione per dare un'occhiata a un telegiornale, sapendo che come al solito l'avrei spenta poco dopo, o avrei cambiato canale, irritato dall'approssimazione e dalla cialtroneria di qualche giornalista, o semplicemente irritato da qualche notizia. È così che ho scoperto l'orrore del massacro della redazione di Charlie hebdo.
Sono subito passato sul canale francese France 24, dove ho visto le immagini insopportabili dell'agente di polizia Ahmet Merabet freddato sul marciapiede da un colpo di kalshnikov alla testa.
I nomi. I nomi sono importanti. Non basta parlare di vittime. La vittima è anonima, quasi disumanizzata da quella parola che la definisce. Prima di essere vittima Ahmed Merabet era un uomo, con due gambe, due braccia, una testa, un'età, 42 anni. Non lo conoscevo, so solo che di mestiere faceva il poliziotto. Ma soprattutto so che era un uomo, un uomo qualunque che si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Come Frédéric Boisseau, impiegato di una ditta di pulizie, che stava facendo il suo lavoro all'interno del giornale. Come Michel Renaud, direttore del festival Rendez-vous du carnet de voyage di Clermont-Ferrand, la città della Michelin, che era andato a restituire dei disegni al disegnatore Cabu e che era stato invitato ad assistere alla riunione della redazione. Come Moustapha Ourrad, correttore di bozze, che di solito non assisteva a quel tipo di riunione. Come Franck Brinsolaro, poliziotto addetto alla protezione di Charb, direttore del giornale. Come l'economista ecologista Bernard Maris. Come la psicanalista Elsa Cayat. Come i disegnatori Charb, Wolinski, Cabu, Tignous e Honoré. Come l'umorista Mathieu Madénian, che lavorava a Charlie da tre mesi e che ieri mattina ha mandato un SMS al giornale dicendo che non avrebbe potuto partecipare alla riunione.
Non ero un lettore di Charlie Hebdo. Conoscevo il giornale e mi capitava di sfogliarlo se me ne trovavo una copia tra le mani, tutto lì. Ma non ero un grande fan di quel tipo di umorismo, anche se ammetto volentieri che certe volte mi faceva molto ridere.
Charlie hebdo era nato nel 1970. Ero a Parigi e me ne ricordo bene. Il 9 novembre di quell'anno moriva De Gaulle. Una settimana prima, a Saint-Laurent-du-Pont, vicino a Grenoble, era bruciata una discoteca. Nell'incendio erano morte 146 persone. La stampa aveva molto usato l'espressione bal tragique, ballo tragico, per parlare dell'avvenimento. De Gaulle era morto nella sua casa di Colombey-les-Deux-Églises, 250 chilometri a est di Parigi. Il settimanale satirico Hara-kiri hebdo uscì con un titolo a piena pagina: Bal tragique à Colombey – Un mort, ballo tragico a Colombey – Un morto. Il ministro dell'interno Raymond Marcellin aveva immediatamente fatto chiudere il giornale, ordinando il ritiro dai chioschi di tutte le copie invendute. La settimana dopo, l'équipe di Hara-kiri tornava in edicola sotto un nuovo titolo, Charlie hebdo, che era di per sé una presa in giro del nome di De Gaulle, Charles.
Tra i numerosi disegni che sono apparsi da ieri mattina su internet, quello che probabilmente sarebbe piaciuto di più ai giornalisti massacrati parte proprio dal titolo del 1970. Giocando sull'omofonia tra bal, ballo, e balle, pallottola, il disegno è una semplice scritta in bianco e nero, con gli stessi caratteri del 1970: Balles tragiques à Paris – 12 morts, Pallottole tragiche a Parigi – 12 morti.
Ieri ho parlato a caldo dei terroristi come di “maledetti stronzi fanatici religiosi”. Oggi, a freddo, confermo. Ma siccome le parole sono importanti, ci tengo a precisare che ho usato la parola stronzi nel senso di cretini. La cretineria di quei due o tre assassini massacratori ha trovato peraltro conferma nel fatto che uno di loro abbia dimenticato la sua carta d'identità in una delle automobili che erano servite alla fuga. Mi ricordo che la stessa cosa era successa in casa di un mio vicino una trentina d'anni fa. Gli avevano svaligiato la villa e uno dei ladri aveva lasciato cadere a terra la sua carta d'identità. Ho spesso raccontato quella storia, suscitando l'ilarità di chi mi ascoltava. Il commento che più veniva spontaneo era: “Un genio!”
Purtroppo questa è la realtà del nostro mondo tecnologico, nel quale “un genio” può procurarsi un kalashnikov e fare un massacro.
Ho due passaporti, l'italiano e il francese. Mi sono sempre considerato italiano, anche se nel corso dei miei 35 anni in Francia mi sono reso conto che la mia italianità si annacquava sempre di più. Ieri, davanti alla televisione, con i miei spaghetti ai carciofi riscaldati, per la prima volta mi sono sentito pienamente francese e la cosa ha stupito anche me. Non che consideri un massacro, quello di Parigi o qualsiasi altro, più o meno importante a seconda del luogo dove si è svolto; ma è come se questo massacro mi avesse toccato più da vicino, come la morte di un parente ti tocca più di quella di uno sconosciuto. Oggi continuo a considerarmi interamente italiano, ma ho capito a che punto sono anche completamente francese e a che punto ho voglia di rivendicare quella doppia appartenenza, anche perché quei cretini massacratori mi danno l'impressione di rivendicare per se stessi una sola e unica appartenenza, quella a una religione, come se una persona, un uomo, potesse definire se stesso unicamente in funzione alla sua adesione a un'idea, o a un'ideale, o a un dogma.
Non si sa mai come reagire davanti a orrori di questo genere. Si esita, ci si sente suonati come un pugile a terra. Si dubita. Si annaspa nel vuoto.
Con sorpresa, la mia reazione stamattina è questa: sentirmi pienamente italiano e pienamente francese allo stesso tempo. Vivere questa impossibilità come una risposta a tutti quelli che si nascondono dietro una facciata monolitica, dietro la purezza di un insegnamento trasformato in dottrina assoluta.
Credo di avere già scritto in questo blog che la parola che più mi fa orrore è purezza, perché è dalla purezza che nascono il fanatismo, l'odio, il rifiuto dell'altro, la stigmatizzazione sistematica, la violenza cieca. Oggi più che mai rivendico la mia doppia identità, la mia impurità, e lo faccio con orgoglio.
Leggo e sento dire che dietro i terroristi parigini c'è la volontà di provocare risposte dure e violente, di mettere in ginocchio l'Occidente, di far capire a tutti i musulmani quanto siano in pericolo. No. Dietro quei terroristi assassini non c'è niente. Solo stupidità. Solo violenza. Solo barbarie. Solo ignoranza. Se fossero stati capaci di un ragionamento articolato non avrebbero fatto ciò che hanno fatto. Dietro il loro gesto c'è solo un'immensa e triste dose di vuoto. Puro vuoto.