Ieri ho
pubblicato un post a caldo. Elena era uscita, poi mi aveva mandato un
messaggino dicendomi che sarebbe rimasta a pranzo a casa di amici.
Poco dopo l'una sono andato in cucina e ho messo a riscaldare nel
microonde i resti degli spaghetti ai carciofi della sera prima. Ho
acceso la televisione per dare un'occhiata a un telegiornale, sapendo
che come al solito l'avrei spenta poco dopo, o avrei cambiato canale,
irritato dall'approssimazione e dalla cialtroneria di qualche
giornalista, o semplicemente irritato da qualche notizia. È così
che ho scoperto l'orrore del massacro della redazione di Charlie
hebdo.
Sono
subito passato sul canale francese France 24,
dove ho visto le immagini insopportabili dell'agente di polizia Ahmet
Merabet freddato sul marciapiede da un colpo di kalshnikov alla
testa.
I
nomi. I nomi sono importanti. Non basta parlare di vittime. La
vittima è anonima, quasi disumanizzata da quella parola che la
definisce. Prima di essere vittima Ahmed Merabet era un uomo, con due
gambe, due braccia, una testa, un'età, 42 anni. Non lo conoscevo, so
solo che di mestiere faceva il poliziotto. Ma soprattutto so che era
un uomo, un uomo qualunque che si è trovato nel posto sbagliato al
momento sbagliato. Come Frédéric Boisseau, impiegato di una ditta
di pulizie, che stava facendo il suo lavoro all'interno del giornale.
Come Michel Renaud, direttore del festival Rendez-vous du
carnet de voyage di
Clermont-Ferrand, la città della Michelin, che era andato a
restituire dei disegni al disegnatore Cabu e che era stato invitato
ad assistere alla riunione della redazione. Come Moustapha Ourrad,
correttore di bozze, che di solito non assisteva a quel tipo di
riunione. Come Franck Brinsolaro, poliziotto addetto alla protezione
di Charb, direttore del giornale. Come l'economista ecologista
Bernard Maris. Come la psicanalista Elsa Cayat. Come i disegnatori
Charb, Wolinski, Cabu, Tignous e Honoré. Come l'umorista Mathieu
Madénian, che lavorava a Charlie
da tre mesi e che ieri mattina ha mandato un SMS al giornale dicendo
che non avrebbe potuto partecipare alla riunione.
Non
ero un lettore di Charlie Hebdo.
Conoscevo il giornale e mi capitava di sfogliarlo se me ne trovavo
una copia tra le mani, tutto lì. Ma non ero un grande fan di quel
tipo di umorismo, anche se ammetto volentieri che certe volte mi
faceva molto ridere.
Charlie
hebdo era nato nel 1970. Ero a
Parigi e me ne ricordo bene. Il 9 novembre di quell'anno moriva De
Gaulle. Una settimana prima, a Saint-Laurent-du-Pont, vicino a
Grenoble, era bruciata una discoteca. Nell'incendio erano morte 146
persone. La stampa aveva molto usato l'espressione bal
tragique, ballo tragico, per
parlare dell'avvenimento. De Gaulle era morto nella sua casa di
Colombey-les-Deux-Églises, 250 chilometri a est di Parigi. Il
settimanale satirico Hara-kiri hebdo
uscì con un titolo a piena pagina: Bal tragique à
Colombey – Un mort, ballo
tragico a Colombey – Un morto. Il ministro dell'interno Raymond
Marcellin aveva immediatamente fatto chiudere il giornale, ordinando
il ritiro dai chioschi di tutte le copie invendute. La settimana
dopo, l'équipe di Hara-kiri
tornava in edicola sotto un nuovo titolo, Charlie hebdo,
che era di per sé una presa in giro del nome di De Gaulle, Charles.
Tra
i numerosi disegni che sono apparsi da ieri mattina su internet,
quello che probabilmente sarebbe piaciuto di più ai giornalisti
massacrati parte proprio dal titolo del 1970. Giocando sull'omofonia
tra bal, ballo, e
balle, pallottola, il
disegno è una semplice scritta in bianco e nero, con gli stessi
caratteri del 1970: Balles tragiques à Paris – 12 morts,
Pallottole tragiche a Parigi – 12 morti.
Ieri
ho parlato a caldo dei terroristi come di “maledetti stronzi
fanatici religiosi”. Oggi, a freddo, confermo. Ma siccome le parole
sono importanti, ci tengo a precisare che ho usato la parola stronzi
nel senso di cretini. La cretineria di quei due o tre assassini
massacratori ha trovato peraltro conferma nel fatto che uno di loro
abbia dimenticato la sua carta d'identità in una delle automobili
che erano servite alla fuga. Mi ricordo che la stessa cosa era
successa in casa di un mio vicino una trentina d'anni fa. Gli avevano
svaligiato la villa e uno dei ladri aveva lasciato cadere a terra la
sua carta d'identità. Ho spesso raccontato quella storia, suscitando
l'ilarità di chi mi ascoltava. Il commento che più veniva spontaneo
era: “Un genio!”
Purtroppo
questa è la realtà del nostro mondo tecnologico, nel quale “un
genio” può procurarsi un kalashnikov e fare un massacro.
Ho
due passaporti, l'italiano e il francese. Mi sono sempre considerato
italiano, anche se nel corso dei miei 35 anni in Francia mi sono reso
conto che la mia italianità si annacquava sempre di più. Ieri,
davanti alla televisione, con i miei spaghetti ai carciofi
riscaldati, per la prima volta mi sono sentito pienamente francese e
la cosa ha stupito anche me. Non che consideri un massacro, quello di
Parigi o qualsiasi altro, più o meno importante a seconda del luogo
dove si è svolto; ma è come se questo massacro mi avesse toccato
più da vicino, come la morte di un parente ti tocca più di quella
di uno sconosciuto. Oggi continuo a considerarmi interamente
italiano, ma ho capito a che punto sono anche completamente francese
e a che punto ho voglia di rivendicare quella doppia appartenenza,
anche perché quei cretini massacratori mi danno l'impressione di
rivendicare per se stessi una sola e unica appartenenza, quella a una
religione, come se una persona, un uomo, potesse definire se stesso
unicamente in funzione alla sua adesione a un'idea, o a un'ideale, o
a un dogma.
Non
si sa mai come reagire davanti a orrori di questo genere. Si esita,
ci si sente suonati come un pugile a terra. Si dubita. Si annaspa nel
vuoto.
Con
sorpresa, la mia reazione stamattina è questa: sentirmi pienamente
italiano e pienamente francese allo stesso tempo. Vivere questa
impossibilità come una risposta a tutti quelli che si nascondono
dietro una facciata monolitica, dietro la purezza di un
insegnamento trasformato in dottrina assoluta.
Credo
di avere già scritto in questo blog che la parola che più mi fa
orrore è purezza, perché è dalla purezza che nascono il fanatismo,
l'odio, il rifiuto dell'altro, la stigmatizzazione sistematica, la
violenza cieca. Oggi più che mai rivendico la mia doppia identità,
la mia impurità, e lo faccio con orgoglio.
Leggo
e sento dire che dietro i terroristi parigini c'è la volontà di
provocare risposte dure e violente, di mettere in ginocchio
l'Occidente, di far capire a tutti i musulmani quanto siano in
pericolo. No. Dietro quei terroristi assassini non c'è niente. Solo
stupidità. Solo violenza. Solo barbarie. Solo ignoranza. Se fossero
stati capaci di un ragionamento articolato non avrebbero fatto ciò
che hanno fatto. Dietro il loro gesto c'è solo un'immensa e triste
dose di vuoto. Puro vuoto.