sabato 7 settembre 2013

Bombardare la Siria?

Aleppo

La cosa più sinistra in tutto questo parlare e sparlare della possibilità che gli americani bombardino la Siria è che nessuno sembra più occuparsi di quei poveri cristi che sono morti gasati dall'esercito di Bashar al-Assad. Che qualche giorno di bombardamento americano non possa risolvere la situazione siriana è ovvio. Che nessuno debba fare qualcosa per fermare la carneficina lo è molto meno.
Bello, a questo proposito, l'articolo di Gad Lerner pubblicato stamattina dalla Repubblica. Rifiutando in un certo senso di sottomettersi all'impossibile alternativa bombardare sì / bombardare no, Lerner ricorda innanzitutto che chi si proclama oggi contro la guerra in Siria lo fa dimenticando che quella guerra é "già in corso da due anni, con più di centomila morti e milioni di profughi, mentre noi tutti giravamo la testa dall'altra parte." Il che, continua Lerner, è simile a quanto già successe una ventina d'anni fa con la guerra in Bosnia Erzegovina, quando molti si dicevano che "i contendenti sono uno peggio dell'altro, lasciamo che si ammazzino tra di loro. Certo, è doloroso che ci vadano di mezzo i bambini e la popolazione innocente, ma noi non possiamo farci nulla. Meglio che i tagliagole si indeboliscano sfogandosi fra di loro."
Il vero scandalo oggi non è la possibilità dei bombardamenti, è che l'insieme dei paesi "democratici" abbiano lasciato marcire le cose fino al livello attuale. Il vero scandalo è che si sia arrivati a un'alternativa impossibile: non fare niente o bombardare?
Sento dire che serve una soluzione politica. Ma è davvero immaginabile una soluzione politica con uno come Assad? È davvero immaginabile che la Russia di Putin smetta di sostenerlo a spada tratta?
Purtroppo anche a me era già tornata in mente Sarajevo. Quando Chirac fu eletto presidente, in meno di due mesi i bombardamenti della NATO, che Mitterrand non aveva mai voluto, misero fine a una guerra che non avrebbe mai dovuto durare tanto, fare tanti morti, distruggere tante famiglie, sviluppare tanto odio. Sì, lo ricordo da amante della pace: furono quegli atti di guerra a mettere fine a una guerra andata avanti per cinque, interminabili anni.
La Siria del 2013 non è la Bosnia del 1995, è ovvio. Ma lo pseudo-pacifismo dogmatico e insopportabilmente bacchettone non può, né potrà mai niente per fermare un dittatore pronto a gasare la popolazione civile per non perdere il suo potere.
Essere pacifisti non può significare restare indifferenti davanti alle atrocità, limitarsi a partecipare a qualche manifestazione, o digiunare per un giorno insieme al papa. Essere pacifisti deve voler dire anche saper ricorrere alla forza per difendere chi soffre, quando ogni altra via è sbarrata. Essere pacifisti deve voler dire anche ribellarsi all'inazione, alla paura e all'egoismo.
Perché anche di egoismo si tratta.
Qui non si tratta di essere per o contro la guerra (ne conosci molti, tu, che sono per la guerra?). Qui si tratta di sapere se si vuole continuare a vivere guardando dall'altra parte, ignorando il prossimo, magari dicendosi che "quelli là sono arabi", che "sono lontani", o che la cosa non ci riguarda.
Non sono un politico, né un diplomatico. Non ho il Libro delle Soluzioni in tasca. Dirò di più: rivendico il mio diritto di cittadino a non averlo, quel libro. Lo rivendico perché sennò a cosa servirebbe la democrazia? Tutto ciò che dico è che quell'alternativa, bombardare sì / bombardare no, non è una vera alternativa, ma piuttosto la dimostrazione lampante dell'incapacità di chi ci governa, noi tutti Occidentali e non solo, ad affrontare le vere alternative al momento giusto.
Tutto questo parlare della Siria altro non mi sembra che una squallida e ulteriore dimostrazione dell'egoismo occidentale. Le vittime, cioè la popolazione civile, sono quasi dimenticate, messe in secondo piano: l'unica cosa che conta è il nostro dilemma.
Nel 1991, quando Saddam Hussein bombardò la minoranza kurda irakena, l'allora ministro francese Bernard Kouchner fu il primo a parlare di diritto d'ingerenza umanitaria. L'idea apparve subito affascinante quanto pericolosa, poiché metteva per la prima volta in discussione il principio di sovranità degli Stati. E sappiamo tutti come, travisando quell'idea e usandola come pretesto, gli americani abbiano poi invaso l'Irak, con le conseguenze che conosciamo. 
Eppure, alla base, quell'idea era nobile, perché stava a significare l'uguaglianza di tutti gli esseri umani e il diritto di ognuno a non essere massacrato da un qualsiasi dittatore.
Oggi la situazione in Siria altro non è che la cartina al tornasole che rivela il fallimento delle strutture internazionali create alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ONU in testa. Un organismo basato su un Consiglio di Sicurezza del quale fanno parte i cinque Paesi più potenti del mondo, ognuno con diritto di veto sulle decisioni degli altri, assomiglia sempre di più a un grosso baraccone impotente.
E allora? Allora niente. Non restano che tristi constatazioni. Sulla pelle di chi, in Siria e altrove, continuerà a morire per nulla.