Aleppo
La cosa più
sinistra in tutto questo parlare e sparlare della possibilità che
gli americani bombardino la Siria è che nessuno sembra più
occuparsi di quei poveri cristi che sono morti gasati dall'esercito
di Bashar al-Assad. Che qualche giorno di bombardamento americano non
possa risolvere la situazione siriana è ovvio. Che nessuno debba
fare qualcosa per fermare la carneficina lo è molto meno.
Bello, a questo
proposito, l'articolo di Gad Lerner pubblicato stamattina dalla
Repubblica. Rifiutando in un certo senso di sottomettersi
all'impossibile alternativa bombardare sì / bombardare no, Lerner
ricorda innanzitutto che chi si proclama oggi contro la guerra in
Siria lo fa dimenticando che quella guerra é "già in corso
da due anni, con più di centomila morti e milioni di profughi,
mentre noi tutti giravamo la testa dall'altra parte." Il
che, continua Lerner, è simile a quanto già successe una ventina
d'anni fa con la guerra in Bosnia Erzegovina, quando molti si
dicevano che "i contendenti sono uno peggio dell'altro,
lasciamo che si ammazzino tra di loro. Certo, è doloroso che ci
vadano di mezzo i bambini e la popolazione innocente, ma noi non
possiamo farci nulla. Meglio che i tagliagole si indeboliscano
sfogandosi fra di loro."
Il vero scandalo
oggi non è la possibilità dei bombardamenti, è che l'insieme dei
paesi "democratici" abbiano lasciato marcire le cose fino
al livello attuale. Il vero scandalo è che si sia arrivati a
un'alternativa impossibile: non fare niente o bombardare?
Sento dire che serve
una soluzione politica. Ma è davvero immaginabile una soluzione
politica con uno come Assad? È davvero immaginabile che la Russia di
Putin smetta di sostenerlo a spada tratta?
Purtroppo anche a me
era già tornata in mente Sarajevo. Quando Chirac fu eletto
presidente, in meno di due mesi i bombardamenti della NATO, che
Mitterrand non aveva mai voluto, misero fine a una guerra che non
avrebbe mai dovuto durare tanto, fare tanti morti, distruggere tante
famiglie, sviluppare tanto odio. Sì, lo ricordo da amante della
pace: furono quegli atti di guerra a mettere fine a una guerra andata
avanti per cinque, interminabili anni.
La Siria del 2013
non è la Bosnia del 1995, è ovvio. Ma lo pseudo-pacifismo dogmatico
e insopportabilmente bacchettone non può, né potrà mai niente per
fermare un dittatore pronto a gasare la popolazione civile per non
perdere il suo potere.
Essere pacifisti non
può significare restare indifferenti davanti alle atrocità,
limitarsi a partecipare a qualche manifestazione, o digiunare per un
giorno insieme al papa. Essere pacifisti deve voler dire anche saper
ricorrere alla forza per difendere chi soffre, quando ogni altra via
è sbarrata. Essere pacifisti deve voler dire anche ribellarsi
all'inazione, alla paura e all'egoismo.
Perché anche di
egoismo si tratta.
Qui non si tratta di
essere per o contro la guerra (ne conosci molti, tu, che sono per la
guerra?). Qui si tratta di sapere se si vuole continuare a vivere
guardando dall'altra parte, ignorando il prossimo, magari dicendosi
che "quelli là sono arabi", che "sono lontani",
o che la cosa non ci riguarda.
Non sono un
politico, né un diplomatico. Non ho il Libro delle Soluzioni in
tasca. Dirò di più: rivendico il mio diritto di cittadino a non
averlo, quel libro. Lo rivendico perché sennò a cosa servirebbe la
democrazia? Tutto ciò che dico è che quell'alternativa, bombardare
sì / bombardare no, non è una vera alternativa, ma piuttosto la
dimostrazione lampante dell'incapacità di chi ci governa, noi tutti
Occidentali e non solo, ad affrontare le vere alternative al momento
giusto.
Tutto questo parlare
della Siria altro non mi sembra che una squallida e ulteriore
dimostrazione dell'egoismo occidentale. Le vittime, cioè la
popolazione civile, sono quasi dimenticate, messe in secondo piano:
l'unica cosa che conta è il nostro dilemma.
Nel 1991, quando
Saddam Hussein bombardò la minoranza kurda irakena, l'allora
ministro francese Bernard Kouchner fu il primo a parlare di diritto
d'ingerenza umanitaria. L'idea apparve subito affascinante quanto
pericolosa, poiché metteva per la prima volta in discussione il
principio di sovranità degli Stati. E sappiamo tutti come, travisando quell'idea e usandola come pretesto, gli americani abbiano poi invaso l'Irak, con le conseguenze che conosciamo.
Eppure, alla base, quell'idea
era nobile, perché stava a significare l'uguaglianza di tutti gli
esseri umani e il diritto di ognuno a non essere massacrato da un
qualsiasi dittatore.
Oggi la situazione
in Siria altro non è che la cartina al tornasole che rivela il
fallimento delle strutture internazionali create alla fine della
Seconda Guerra Mondiale, ONU in testa. Un organismo basato su un
Consiglio di Sicurezza del quale fanno parte i cinque Paesi più
potenti del mondo, ognuno con diritto di veto sulle decisioni degli
altri, assomiglia sempre di più a un grosso baraccone impotente.
E allora? Allora
niente. Non restano che tristi constatazioni. Sulla pelle di chi, in
Siria e altrove, continuerà a morire per nulla.