giovedì 9 maggio 2013

Della Galatina

I miei primi sette anni di vita li ho passati a Lodi. Sono nato nel letto dei miei genitori, in via XX settembre. Mi sono sempre chiesto perché sulle targhe ci fosse scritto XX e non 20, o venti, e la stessa perplessità la provo ogni volta che trovo un'indicazione per XXmiglia. Insondabile mistero.
A Lodi c'era la Fiera del Latte. Non so assolutamente cosa fosse, ma so che mio padre aveva qualcosa a che farci. Perché la Fiera del Latte? Naturalmente perché nella nebbia padana hanno sempre vagato numerose mucche con le mammelle rigonfie, ma anche perché a Lodi c'era la Polenghi Lombardo, che produceva sia latte che mascarpone. Sono quelli della Polenghi che hanno lanciato in Italia quella schifezza senza sapore che si chiama latte a lunga conservazione. Per fortuna loro (e mia) nel 1956 Dio Signore Onnipotente li incaricò però di dare al mondo uno di quei miglioramenti epocali che danno un po' di gioia a noi mammiferi erranti in questa valle di lacrime. E la Polenghi Lombardo creò le Galatine. Otto anni prima che la Ferrero facesse fare un altro grande passo in avanti all'umanità creando la Nutella e ben venticinque anni prima che Roberto “Loly” Linguanotto, pasticcere presso il ristorante Alle Beccherie di Treviso chiudesse la Divina Trinità con l'elaborazione del tiramisù.
È difficile spiegare cosa fossero le Galatine per un bambino del 1956. Prima di allora le godurie supreme erano le caramelle Charms, rotonde e col buco, che mio padre mi portava dal bar Masseroni, dove andava a giocare a boccette. Ma le Galatine, con quel colore bianco e con quell'inconfondibile e ineguagliabile consistenza... mmmmmhhhh.
Per vari decenni le Galatine sono state per me un lontano ricordo, fino al giorno in cui, a un autogrill dell'Autostrada dei Fiori, a momenti mi ha preso un infarto. Su uno scaffale, vicino a pacchetti di Haribo, Golia e altre cose sconosciute, ho scoperto un pacchettino bianco a righe azzurre con su la meravigliosa scritta rossa: Galatine.
Quando ho visto, scritto in più piccolo, il nome Sperlari, è solo grazie alla rapida reazione di un turista polacco che non sono caduto rovinosamente a terra. Come sarebbe, Sperlari? Vuoi vedere che questi delinquenti senza ritegno né senso dell'onore si sono appropriati di un nome sacro per mettere in circolazione un ignobile sottoprodotto?!
Ho esitato a lungo, ma dopo circa 47 minuti di immobilità ho ceduto: ho allungato la mano, ho preso un pacchetto e mi sono diretto verso la cassa. Appena fuori, sotto il sole ligure, ho aperto il pacchetto e ho trovato una serie di caramelle, ognuna avvolta da un manto di plastica e alluminio. Altro coccolone. Ma sono stato forte. Con uno sforzo di volontà pari a quello di Fidippide quando, 2493 anni fa, corse 42,195 km per annunciare agli ateniesi la vittoria sui persiani, ho scartato la Galatina e me la sono infilata in bocca. Miracolo! Miracolo! Gloria in Excelsis Deo! La Galatina aveva lo stesso sapore!
Da allora, di Galatine ne ho succhiate molte, l'ultima pochi minuti fa. Anche se “succhiate” è limitativo, visto che uno dei piaceri risiede proprio in quell'alternanza di succhiare e mordere che solo l'immacolata leccornia lodigiana permette.
Qualche anno dopo l'inattesa riscoperta, ho provato anche le Galatine al cioccolato e quelle molli. È stato come far sesso con una bambola gonfiabile, come bere un bicchiere di Tavernello, come andare in vacanza in agosto a Igea Marina, come mangiare una pizza da Pizza Hut. Patetico. Triste. Deprimente. Ogni volta che ne vedo in vendita alla Coop mi viene voglia di rubarle tutte unicamente per il piacere di portarle alla discarica.
Per fortuna le Galatine bianche, quelle vere, esistono ancora. Quel che mi preoccupa è che la Sperlari appartiene ormai alla Leaf Italia (che possiede anche Saila, Dietorelle e Dietor) e che la Leaf Italia è di proprietà della CVC Capital Partners, con sede a Londra, e della Nordic Capital, con sede a Stoccolma. Cosa succederà il giorno in cui 'st'inglesi e 'sti svedesi decideranno che non gliene frega niente delle Galatine? Non oso immaginarlo.
E invece sì, lo immagino. Ma non lo temo più, visto che ho scovato su internet una ricetta per farsi le Galatine in casa! Non l'ho ancora provata (l'ho scoperta venti minuti fa...), ma non voglio correre il rischio di farmi polpettizzare da un TIR domani mattina senza prima averla offerta ai miei lettori.
Eccola qui:

Ingredienti:
40g di albume
80g di zucchero
3 cucchiai colmi di latte in polvere

Preparazione:
mettete l'albume insieme a 1/3 dello zucchero in una ciotola di metallo e appoggiatela sopra una pentola di acqua calda in modo che il composto si scaldi senza però superare i 45°. Cominciate a montare con un frullino e quando gli albumi comincieranno già ad essere spumosi aggiungere ancora 1/3 di zucchero...Continuate a montare finché il composto sarà bianco, spumoso e ben fermo. A questo punto aggiungete l'ultimo terzo di zucchero e montate ancora finché si sarà sciolto completamente, dopodiché unite il latte in povere, frullando ancora un po' a bassa velocità. Stendete ora il composto così ottenuto allo spessore di circa 1/2cm su un foglio di carta forno dandogli una forma quadrata e adagiate il tutto sul ripiano dell'essiccatore azionandolo a 70°. Se non avete l'essiccatore appoggiate il foglio con l'impasto sulla teglia del forno preriscaldato a 60° ventilato, ma lasciate lo sportello del forno aperto a fessura mettendo un cucchiaio di legno tra il forno e lo sportello. Fate essiccare completamente. Quando sarà pronto fatelo raffreddare e poi tagliate a quadratini di circa 1cm di lato possibilmente con un coltello elettrico.
 
Lasciamo pure perdere il coltello elettrico: mi pare ovvio che se la cosa risulterà buona sarà molto meglio ficcarsi direttamente in bocca tutta la placca senza perdere inutile tempo a farla a pezzi.
Non credo che nei prossimi due giorni avrò il tempo necessario per provare la ricetta e siccome poi starò via per un mese e mezzo non mi resta che contare su di te, dolciofilo lettore, per sperimentarla, darmene delle notizie e farmi sbavare da una qualche camera d'albergo francese. Cosa di cui ti sono grato in anticipo.
Galatine for ever!

martedì 7 maggio 2013

Sangue umano

Sangue umano (400x)

Un amico ha pubblicato sulla sua pagina Facebook due brevi testi, che riproduco qui. Il primo è di una certa Lorella Presotto.

"Gentile signora Kyenge,
mi scuso, ma non riesco a chiamarla Ministro, non per razzismo come molti possano essere indotti a pensare, ma per criterio.
Non posso chiamare Ministro chi si dichiara a metà tra il mio paese ed un altro, mentre ha giurato fedeltà alla mia Costituzione.
Non accetto che lei parli a nome mio e dei miei concittadini definendoci "meticci". Io sono di generazioni italiana, nel mio albero genealogico ci sono persone che hanno dato la vita per questo paese, ho una cultura, la mia, quella del mio popolo, che amo e che non voglio cambiare con nessun altra.
Sono stanca di sentirmi straniera a casa mia; di dovermi giustificare per le mie tradizioni; di dover continuamente sopportare, tollerare che l'ultimo arrivato, che nemmeno possiede una goccia del mio sangue, mi venga ad impartire ordini.
Io e il mio paese siamo tutt'uno. Lei ben sapendo di non appartenere completamente a questo paese ha espresso un giuramento sulla mia Carta , offendendola, perché lei stessa ha dichiarato di non sentirsi completamente italiana.
Non avrebbe dovuto farlo gentile signora Kyenge, solo per rispetto verso la mia gente che ha sempre accolto tutti con amore e solidarietà. Oggi lei forte dei poteri che le sono stati dati, e non dal popolo italiano, tuona possentemente che serve una nuova legge in materia di immigrazione; imperativamente lei afferma che serve il riconoscimento dello ius soli... ma forse le è sconosciuta quella parte del diritto millenario, conquistato con il sacrificio di molte vite umane, per cui non è sufficiente risiedere in un paese per averne di diritto cittadinanza. 
Lei pretende diritti, senza offrire solidarietà, senza obblighi, anzi lei pretende che quel principio giuridico che dice "ove vi è un diritto vi è sempre un obbligo" di colpo venga smembrato dotando una parte di soli diritti ed un'altra di soli obblighi.
Io non ci sto signora Kyenge. Lei non mi rappresenta e non mi rappresenterà mai. Io non l'ho votata signora Kyenge; io amo la mia cultura, le mie tradizioni e non mi interessa che vengano integrate da altre, posso accettare di conoscerle, apprezzarle e rispettarle, ma pretendo la stessa contropartita.
Non si rispetta un popolo imponendogli un'invasione indiscriminata; non si può chiamare etica una sbilanciamento a favore di una singola parte.
Ci pensi signora Kyenge, le sue dichiarazioni hanno gettato un'ombra sulla storia di questo paese, lei non potrà essere di aiuto per gli italiani, tanto meno per gli immigrati.
"

Il secondo testo, sotto forma di post scriptum, è di Stefano Davidson.

"Gentile Signora Kyenge, io ho vissuto in Kenya ed ho avuto numerose esperienze in altri Paesi Africani (nord, centro e sud). In nessuno di essi ho mai trovato un centesimo della disponibilità e della tolleranza nei confronti del "msungu" italiano che gli immigrati di tutto il mondo in un modo o nell'altro trovano in Italia a partire dall'atteggiamento nei loro confronti tenuto dalle istituzioni. Questo mio intervento al termine della lettera soprascritta vuole unicamente sottolineare come ciò che la gran parte di coloro che arrivano in Italia e pretendono sia dal nostro Paese che dal nostro popolo, a casa loro spesso non lo trovano riservato nemmeno per loro stessi, figuriamoci per chi nei loro Paesi arriva per lavoro o per aprire un'attività.
Ovviamente non entro nei particolari per evitare alla lettera di diventare chilometrica e di assumere toni esageratamente polemici.
"
 

Poiché, una volta tanto, quanto precede è scritto in un italiano corretto e in maniera relativamente pacata, ho voluto cercare di rispondere sullo stesso tono. 

Cari Lorella Presotto e Stefano Davidson,
anch'io ho avuto numerose esperienze lavorative in varie parti dell'Africa e anch'io mi sono sentito chiamare msungu, toubab, o mundele, cioè bianco, a seconda dei Paesi. Avendo vissuto più di trent'anni (la maggior parte della mia vita adulta) in Francia mi sono spesso sentito chiamare rital (italiano), o macaronì, e non è raro che mia moglie, sarda, mi chiami ciuccianebbia. Sono italiano, anche se ho un quarto di sangue tedesco. Intorno ai trent'anni ho preso la cittadinanza francese, perdendo l'italiana, che ho recuperato tre anni fa, sempre mantenendo la francese. Ho quattro nipoti: due hanno sangue per metà francese, per un quarto americano, per tre sedicesimi italiano e per un sedicesimo tedesco; gli altri due hanno sangue per metà indiano, per un quarto francese, per tre sedicesimi italiano e per un sedicesimo tedesco. Questi ultimi due, visti con occhi europei, sono somaticamente chiaramente indiani, mentre visti con occhi indiani sono altrettanto automaticamente europei.
Culturalmente è tutta un'altra storia: i primi due sono di sicuro (per il momento) più francesi che americani, italiani o tedeschi; gli altri due sono decisamente franco-indiani, più che italiani o tedeschi. Ma nessuno può dire oggi cosa saranno tra trenta o quarant'anni.
Tanto per citare due esempi, il grande poeta russo Puskin era a metà eritreo, mentre la nonna di Alexandre Dumas era una schiava nera che i padroni chiamavano la femme du mas, ovvero la donna della masseria. Altri due facili esempi sono quelli di due Segretari di Stato americani, Zbigniew Brzeziński, polacco, che diventò americano a trent'anni e Henry Kissinger, ebreo ashenazita di nazionalità tedesca, che lo diventò a venti.
Negli anni, non ho mai conosciuto nessuno che, avendo preso una seconda nazionalità, oppure cambiato nazionalità, si sia mai scordato di quella d'origine. Che la ministra Kyenge si dichiari a metà tra il nostro paese e un altro, per riprendere la frase usata da Lorella, mi sembra la cosa più naturale del mondo. Il contrario mi sembrerebbe estremamente stupido, se non sospetto. Peraltro nella mia famiglia c'è anche un altro indiano, che fu adottato a otto anni dai genitori italiani e che ovviamente si considera sia italiano che indiano.
Non vedo che problema ci possa essere con Cécile Kyenge. È italiana? Sì, perché ha un passaporto italiano, oltre a vivere e lavorare in Italia, aver sposato un italiano e avere figlie italiane. È congolese? Sì, perché è di genitori congolesi e perché è in Congo che ha passato infanzia e adolescenza.
E allora? Dovrei forse essere più infastidito dalla sua pelle nera che dai capelli biondi di Josefa Idem (che vinse una medaglia d'oro e una di bronzo ai campionati mondiali per la Nazionale italiana due anni prima di diventare cittadina italiana), o dall'accento tedesco di vari altri campioni olimpionici e mondiali, o di certi uomini politici di origine altoatesina? Dov'è la linea di demarcazione? Cosa rende “uguali” un pastore della Basilicata e un cardiochirugo piemontese (o viceversa)? Cosa rende “diversi” il Grande Rabbino di Roma e Camillo Benso Conte di Cavour, che era a metà clavinista ginevrino? Tra l'altro mi viene in mente che una ventina d'anni fa il Cardinale di Parigi, Jean-Marie Lustiger, era un ebreo ashenazita, mentre l'ex Presidente Sarkozy è figlio di Pál István Ernő Sárközy de Nagy-Bócsa, aristocratico ungherese naturalizzato.
Oso sperare che il problema non sia quello del colore della pelle. Ma, ripeto, dov'è la linea di demarcazione? Lo sono i genitori? I nonni? I bisnonni?
Mi pare di capire che Stefano si sia spesso sentito rifiutato, come bianco, in Africa. Perdinci! Ma davvero credevi che il razzismo fosse un'esclusività europea? Posso assicurarti che bigotti, cretini e ignoranti ne ho incontrati in tutte le parti del mondo, Africa compresa. Ho visto le reazioni dei passanti quando mi sono trovato ad andare in giro per Dehli con degli amici del Mali. Ho sentito dei mauritani parlarmi con disprezzo dei senegalesi, degli zulù che dicevano del male degli xhosa, degli amara che dicevano peste e corna degli oromo, dei dominicani che detestavano gli haitiani e dei thailandesi che disprezzavano i laotiani. E allora? Erano le stesse bassezze dei lombardi della mia infanzia che chiamavano terroni tutti quelli che venivano dal sud di Roma (o di Firenze...).
Oggi abbiamo un ministro italo-congolese, o congoleso-italiana, come volete. Abbiamo avuto tre Presidenti della Repubblica sardi (Segni, Saragat e Cossiga). Provate a chiedere a un sardo se si sente più italiano o più sardo: nove volte su dieci la risposta sarà “più sardo”. Cosa è meglio? Avere una ministra nata e cresciuta in Congo o un ministro come l'italianissimo Umberto Bossi, che dichiarò “il tricolore lo uso per pulirmi il culo”?
Scrive Lorella: “Sono stanca di sentirmi straniera a casa mia; di dovermi giustificare per le mie tradizioni; di dover continuamente sopportare, tollerare che l'ultimo arrivato, che nemmeno possiede una goccia del mio sangue, mi venga ad impartire ordini”. Posso solo dire che Cécile Kyenge possiede il 100% del mio sangue, perché apparteniamo entrambi alla specie umana; che il sangue dei cittadini italiani è, secondo le regioni, pieno di sangue degli etruschi venuti dall'Asia, dei fenici venuti dal medioriente, o dei berberi venuti dall'Africa del nord; che non vedo in cosa le differenze culturali tra me e un altro possano spingermi a “giustificarmi per le mie tradizioni”. 
Posso solo dire che Cécile Kyenge possiede il 100% del mio sangue, perché apparteniamo entrambi alla specie umana; che il "nostro" sangue italiano rigurgita, a seconda delle regioni, di globuli bianchi e rossi provenienti da etruschi venuti dall'Asia, da fenici venuti dal medioriente, o da berberi venuti dall'Africa del nord; che non vedo in cosa le differenze culturali tra me e un altro possano spingermi a “giustificarmi per le mie tradizioni”; che gli ordini non li accetto da chiunque non abbia diritto di darmene e che fino ad oggi mai un immigrato me ne ha dati, mentre so di centinaia di migliaia di italiani che ne hanno dati a milioni di etiopi, eritrei, somali e libici.
Credo abbia ragione Lilian Thuram, l'ex-calciatore del Parma, quando dice che “neri si diventa”. Lo si diventa quando si scopre che gli altri ti appiccicano sulla fronte quell'etichetta lì.
Tutt'altro è ciò che uno decide di diventare. Cécile Kyenge ha deciso di diventare italiana e questo diritto le è stato riconosciuto dalle nostre leggi. L'assenza di accordi di binazionalità tra Italia e Repubblica Democratica del Congo le ha fatto perdere la sua nazionalità di origine. Cambiare la propria nazionalità significa aderire al nuovo Paese di cui si vuol far parte. Perdere una nazionalità significa sentirsi amputato di un diritto (lo so per esperienza). Rifiutare la dignità della piena nazionalità e del diritto di esercitarla in tutti i suoi aspetti a qualcuno che prima ne aveva un'altra, non solo mi pare profondamente errato, ma mi fa dubitare delle ragioni di chi si proclama fedele a una Costituzione di cui poi dimentica lo spirito e la lettera. Sentir parlare di “invasione indiscriminata” come lo fa Lorella a proposito dell'arrivo di stranieri in Italia mi imbarazza, come italiano, quando so che la metà della popolazione argentina è di origine italiana e che noi italiani siamo partiti a milioni verso la Germania, la Svizzera o gli Stati Uniti nell'ultimo secolo, spesso non chiedendo di meglio che ottenere le cittadinanze locali. Pochi popoli europei (irlandesi a parte) hanno “invaso” il mondo quanto il nostro. Frank Sinatra (figlio di Natalia Della e Antonino Martino Sinatra), Joe DiMaggio (nato Giuseppe Paolo DiMaggio), Rudy Giuliani (figlio di Angelo Giuliani e Elena D'avanzo), Fiorello LaGuardia, Ann Bancroft (nata Anna Maria Luisa Italiano), Madonna (nata Madonna Louise Ciccone), Dean Martin (nato Dino Paul Crocetti), Enrico Fermi, Frank Capra (nato Francesco Rosario Capra): tutti italiani emigrati, diventati poi americani, come milioni d'altri. Perdio!, l'unico sopravvissuto alla battaglia di Little Big Horn si chiamava Giovanni Martino ed era nato a Sala Consilina, in provincia di Salerno!
Mi imbarazza anche ciò che dice Stefano: “la gran parte di coloro che arrivano in Italia e pretendono sia dal nostro Paese che dal nostro popolo, a casa loro spesso non lo trovano riservato nemmeno per loro stessi, figuriamoci per chi nei loro Paesi arriva per lavoro o per aprire un'attività”. Sembri scordarti che il Congo è una dittatura de facto con ampie parti del territorio nazionale in guerra civile. Vuoi che ci mettiamo sullo stesso piano?
Mio padre, nato Rudolph Augustin Schuster, era italiano. Come Cécile Kyenge.

sabato 4 maggio 2013

Delle interviste alla stampa

Sono basito da questa nuova polemichetta da quattro soldi a proposito delle dichiarazioni di Paolo Becchi, professore all'Università di Genova vicino al Movimento 5 stelle. Sono basito in generale di fronte alla posizione del M5s che consiste nel non dare interviste alla stampa (almeno a quella italiana).
Visto il mio lavoro, mi è capitato varie decine di volte di dare interviste in giro per il mondo e fin dalla prima (a un giornale di Toronto, nel '71) mi è stato chiaro che bisogna sempre pesare bene quel che si dice in quei casi. Alla radio o in televisione, tanto più quando non si va in diretta, è anche importante decidere quando si fa una pausa per respirare se non si vuole correre il rischio di vedere poi la frase troncata a metà, a significare qualcosa di diverso. Il mio ricordo più buffo è quello di un giornale di Singapore che intitolò una mia intervista: “Schuster declares: the spirit of the 60s is dead” (Schuster dichiara: lo spirito degli anni '60 è morto), manco fossi stato Jean-Paul Sartre o Herbert Marcuse.
Ma come parlare durante un'intervista è cosa che si impara rapidamente, non ci vuole un master in comunicazione a Harvard. Certo, ci sono buoni e cattivi giornalisti, virgolettatori abusivi e persone che cercano di restituire ciò che uno ha detto davvero, individui in buona fede e altri che vogliono sempre tirare la coperta dalla parte delle loro convinzioni. Ma non sparare imbecillità e non esporsi a fraintendimenti e manipolazioni non è poi così difficile.
Non parlare per paura di essere fraintesi è come cavarsi gli occhi per paura di vedere un film con Christian De Sica, come perforarsi i timpani per non correre il rischio di sentire una canzone di Riccardo Cocciante, come infilarsi del cotone nel naso per evitare di sentire il profumo al patchouli dell'ex sessantottina seduta di fianco a noi sull'autobus alle otto del mattino. A meno, naturalmente, che non sia una tattica pubblicitaria in totale malafede...
La stampa non è il babau, né l'uomo nero, né il lupo mannaro. La stampa non è necessariamente e intrinsecamente più forte di te. I giornalisti non sono cloni né di Darth Fener, né di Hannibal Lecter e neppure di Pietro Pacciani. Semplicemente, non sono stupidi e se sanno che tu li tratti da banditi e li accusi a priori di essere persone spregevoli, si difendono e sanno fartela pagare. Ma davvero la cosa è così scandalosa?
Il giornalista di base è ovviamente a caccia di scoop: sta a te non darglielo, se non vuoi. Ma accusarlo di vivere di scoop è come accusare Francesco Totti di prendere a calci un pallone. Tu parla pacatamente, misura le parole, mostra empatia e il giornalista sarà meno incline a ridicolizzarti. Dagli l'impressione di considerarlo come un nemico e a lui verrà naturale trattarti da nemico.
Fare di ogni erba un fascio e affermare che tutta la stampa è merda è di un infantilismo da far cadere le braccia. Scandalizzarsi di essere stati fraintesi è di una stupidità senza limiti. Ed è soprattutto di un'incredibile arroganza: vuoi farmi credere che tu non fraintendi mai nessuno, povero idiota? “Non è questo che intendevo”, “la mia frase è stata troncata”, “sono stato frainteso”, sono imbecillità da bambino sorpreso con le dita dentro il barattolo della marmellata e che dice che stava cercando il barattolo del sale. È patetico, è ridicolo, è puerile.
Mi viene in mente un'altra intervista, a una radio di Parigi. Stavo parlando del mio Ubu re e l'intervistatrice aveva già cercato un paio di volte di farmi dire che Jarry era un orrendo maschilista. A un certo punto ho inavvertitamente abbassato la guardia e lei, rapidissima, mi ha interrotto nel mezzo di una frase, ha fatto un brevissimo commento molto negativo e ha immediatamente fatto segno al tecnico di lanciare la musica. Quella volta mi sono fatto fregare. Colpa mia. E infatti mi sono molto arrabbiato con me stesso. Ma quella è stata l'ultima volta che mi sono fatto fregare.
Prima di farsi intervistare è sempre bene darsi una calmata, respirare profondamente, dirsi che non si sta partendo in guerra alla testa delle truppe beduine per riconquistare Aqaba, e presentarsi col sorriso sulle labbra. Se ci si fa vedere col coltello tra i denti è come dire “Ho paura! Ho paura!”. Il che è un invito a nozze per il cacciatore di scoop.
Ma il fondo di tutto questo è ancora più semplice: se parti con l'idea di avere capito tutto, con l'idea che tutto ciò che dirai è importante e che il mondo ha urgente bisogno di conoscere la tua opinione puoi star certo che quando leggerai l'intervista la troverai schifosa.
Mi viene un dubbio: non è per caso che sia così nei rapporti umani in generale?

venerdì 3 maggio 2013

Buone feste (americane)

Caro lettore, Cara lettrice, te lo dico subito: sappi che l'utilità della lettura e dell'esistenza stessa di quest post suscita grandi dubbi anche nella mente del suo redattore. Ora che sei stato avvisato procedi pure.
Tutto è incominciato con una di quelle stupide verifiche che uno fa su internet e che finiscono rapidamente col portarlo da una cosa all'altra, fino ad allontanarlo completamente dal punto di partenza. Il punto di partenza manco me lo ricordo. Quello d'arrivo è l'inverosimile lista di feste e ricorrenze più o meno ufficiali negli Stati Uniti.
Un consiglio: se ti piace festeggiare non andare mai a vivere negli Stati Uniti! Non avresti più tempo per fare nient'altro.
Vediamo i dettagli, cominciando dalle feste federali, che sono giorni di vacanza, almeno in teoria. Ce ne sono dieci, tre meno che in Italia:
  • 1° gennaio, anno nuovo, festivo ovunque, meno che in Rhode Island (chissà perché?)
  • 21 gennaio, nascita di Martin Luther King Jr., festivo ovunque, meno che in Rhode Island pure lui
  • terzo lunedì di febbraio, compleanno di George Washington (nato in realtà il 22...), celebrato e festivo in quasi tutti gli Stati, meno Delaware, Florida, Iowa, Kansas, Kentucky, Louisiana, North Carolina, Rhode Island e Wisconsin, che di Washington se ne infischiano; Georgia e Indiana lo festeggiano il 24 dicembre e New Mexico il giorno dopo Thanksgiving
  • 27 maggio, giorno della memoria (in onore dei morti di tutte le guerre)
  • 4 luglio, giorno dell'indipendenza
  • 2 settembre, giorno del lavoro
  • 2° lunedì di ottobre, giorno di Colombo (festivo in 28 Stati)
  • 11 novembre, giorno dei veterani (in onore dei veterani di tutte le guerre)
  • 28 novembre, giorno di Thanksgiving (ringraziamento per il raccolto)
  • 25 dicembre, Natale
Ci sono poi delle feste festive in alcuni Stati, feriali in altri:
  • 4 febbraio, giorno di Rosa Parks (leader dei diritti civili), festivo solo nell'Ohio, non si sa bene perché (Rosa Parks era dell'Alabama
  • 12 febbraio, compleanno di Lincoln, festivo in Illinois (suo Stato natale), nonché in Connecticut, Iowa, Missouri, Montana, New Jersey e New York; in Indiana si festeggia il giorno dopo Thanksgiving, ma il giorno è feriale
  • 15 febbraio, compleanno di Susan B. Anthony (suffragetta del '900), festivo in Florida e Wisconsin, mentre in West Virginia lo si celebra nei giorni di elezioni e altrove ce ne si infischia
  • 31 marzo, compleanno di César Chávez (sindacalista e promotore dei diritti civili), celebrato e festivo solo in California
  • il Venerdì Santo è festivo in Connecticut, Delaware, Florida, Hawaii, Indiana, Kentucky, Louisiana, New Jersey, North Carolina, North Dakota, Tennessee e Texas
  • 16 aprile, giorno dell'emancipazione (degli schiavi), festivo solo nel District of Columbia
  • il terzo lunedì di aprile, giorno dei patrioti, è festivo in Maine e Massachusetts, feriale altrove
  • il giorno della memoria della Confederazione è ovviamente celebrato e festivo solo in alcuni stati del Sud, ovvero Alabama, Georgia, Mississippi, South Carolina e Texas, che lo celebrano ognuno un giorno diverso
  • il 1° lunedì di giugno l'Alabama lascia tutti a casa in onore di Jefferson Davies, che fu presidente degli Stati Confederati, cioè dei secessionisti, mentre il Mississippi lo celebra, lasciandolo feriale, l'ultimo lunedì di maggio
  • il giorno dopo Thanksgiving è festivo in 22 Stati; la Georgia ne approfitta per ricordare il Generale Robert Lee (comandante delle truppe secessioniste), l'Indiana fa finta di non sapere che Lincoln era nato il 12 febbraio e festeggia il suo compleanno, il Maryland celebra la cultura degli indiani d'America, il Nevada festeggia le famiglie, il New Mexico canta Happy birthday to you per George Washington, anche se, come già detto,  era del 22 febbraio
  • il giorno delle elezioni federali, che è sempre il martedì che segue il primo lunedì di novembre (gli americani possono essere complicati...), è festivo alle Hawaii, in Illinois, Indiana, Kentucky, Louisiana, Maryland, Michigan, Montana, New Jersey, New York e Wisconsin
  • il 24 dicembre Georgia e Indiana festeggiano festivamente George Washington, mentre altri dieci Stati lo lasciano festivo semplicemente perché è la vigilia di Natale
  • il 26 dicembre è festivo in Alabama, North Carolina, South Carolina e Texas
  • il 31 dicembre è festivo in Alabama, Kentucky, Michigan, e Wisconsin, mentre è feriale altrove, meno che in West Virginia, dove diventa festivo dopo pranzo
E va bene. Ma adesso che so tutte queste cose inutili, ti starai chiedendo, avrà finito.
Scordatelo! Ci sono moltre altre feste che non sono giorni festivi, ma che sono pur sempre feste ufficiali.
  • il 13 gennaio è il giorno di Stephen Foster, considerato il”padre della canzone americana”
  • il 1° febbraio è il giorno della Libertà Nazionale
  • il 13 aprile è il compleanno di Jefferson
  • il primo maggio è il giorno della Legge e anche quello della Lealtà (tanto per loro la festa del lavoro è in settembre...)
  • il primo giovedì di maggio è la giornata nazionale della Preghiera, che gli atei festeggiano come giorno della Ragione
  • il terzo venerdì di maggio è il giorno dei Trasposrti della Difesa Nazionale
  • la seconda domenica di maggio è la Festa della Mamma
  • il 15 maggio è il giorno dei Peace Officers, cioè poliziotti, secondini, doganieri e agenti federali di ogni genere e tipo)
  • il 22 maggio è il giorno della Marina Nazionale
  • il 14 giugno è la Festa della Bandiera
  • la terza domenica di giugno è la Festa del Papà
  • fino al 2007 il 27 luglio era il giorno della memoria dei veterani della guerra di Corea, che ormai sono festeggiati con tutti gli altri l'11 novembre
  • la quarta domenica di luglio è il Giorno dei Genitori, che però si tengono pure la Festa della Mamma e quella del Papà
  • il 19 agosto è la Festa dell'Aviazione
  • il primo sabato dopo il giorno del lavoro è il giorno della Pulizia delle Terre Federali, in onore di tale Carl Garner, che fa sì che un sacco di volontari si mettano a pulire spiagge, foreste, montagne e deserti
  • la prima domenica dopo il giorno del lavoro è il giorno dei Nonni
  • l'11 settembre è il giorno dei Patrioti
  • il 17 settembre è il giorno della Costituzione e della Cittadinanza
  • l'ultima domenica di settembre è il giorno delle Madri decorate con la Stella d'Oro idopo aver perso un figlio in guerra
  • il primo lunedì di ottobre è il giorno della Salute dei Bambini
  • il 9 ottobre è il giorno di Leif Erikson, il capo dei primi vichinghi arrivati in America
  • il 15 ottobre è il giorno della “Sicurezza del Bastone Bianco”, in onore dei ciechi
  • il 7 dicembre è il giorno del ricordo di Pearl Harbour
  • il 17 dicembre è il giorno dell'Aviazione Panamericana ed è anche quello dei fratelli Wright
Tutto qui?, mi dirai. No, ci sono le settimane. Feriali, naturalmente, ma ufficiali.
  • la seconda settimana di marzo è quella della Preservazione della Vista
  • la terza settimana di marzo è quella della Prevenzione Contro i Veleni
  • la terza settimana di maggio è quella della Sicurezza in Barca
  • la settimana all'interno della quale si trova il 14 giugno, giorno della Bandiera Nazionale, è quella della Bandiera Nazionale
  • la seconda settimana di settembre è quella della Prevenzione Contro i suicidi
  • la settimana dal 17 al 23 settembre è quella della Costituzione
  • la settimana dopo la terza domenica di ottobre è quella dei Prodotti delle Foreste Nazionali
Lentamente, ma sicuramente, ci avviciniamo alla fine. Ancora un po' di coraggio per dirti che i ventuno giorni tra quello della Bandiera Nazionale e quello dell'Indipendenza sono dedicati all'Onore dell'America, ed ecco arrivare i mesi:
  • febbraio è il mese del Cuore (in senso fisiologico)
  • sempre febbraio è il mese della Storia Nera (in senso etnico)
  • marzo è il mese della Nutrizione Nazionale
  • aprile è il mese della Storia Confederata (cioè degli Stati secessionisti)
  • aprile è anche il mese del Controllo del Cancro e della Prevenzione Contro gli Abusi sull'Infanzia
  • maggio è il mese della Cultura Asiatico-Pacifico-Americana
  • sempre maggio è il mese dell'Industria Metallurgica
  • giugno è il mese del'Orgoglio Gay e Lesbico
  • ottobre è il mese della Presa di Coscienza del Cancro
  • ancora ottobre è il mese della Presa di Coscienza del Lavoro dei Disabili
  • novembre infine è il mese del Retaggio dei Nativi (ovvero degli indiani d'America)
Ci siamo!, è finita.
E invece no. Non dimenticare che gli Stati Uniti, essendo la terra delle communities, celebrano molte feste religiose e pagane provenienti da varie parti del mondo. Non sono giorni di vacanza, ma guai a scordarseli se hai un amico di origine cinese, ebrea, polacca, irlandese, o quant'altro.
  • tra gennaio e febbraio c'è il Capodanno cino-americano
  • il 2 febbraio è il giorno della marmotta
  • il 14 febbraio, San Valentino, è il giorno degli innamorati
  • il Martedì Grasso è molto importante in Louisiana
  • il 3 marzo è la festa delle Bambole per i nippo-americani
  • l'8 marzo è ovviamente il giorno delle Donne
  • il 17 marzo è il giorno di San Patrizio, festa degli americani di origine irlandese
  • il 1° aprile è... il 1° aprile
  • tra marzo e maggio ci sono Pesach (la Pasqua ebraica) e la Pasqua ortodossa, oltre, ovviamente, alla cattolica
  • il 5 maggio è il giorno dei Bambini per i nippo-americani
  • il 22 aprile è il giorno della Terra
  • l'ultimo venerdì d'aprile è il giorno degli Alberi
  • il 5 maggio gli immigrati messicani festeggiano la loro vittoria contro gli invasori francesi
  • il 27 di giugno è il giorno di Elen Keller, prima sordomuta laureata
  • il 26 agosto è il giorno dell'Eguaglianza Femminile
  • tra settembre e ottobre c'è il Capodanno ebraico
  • sempre tra settembre e ottobre c'è Yom Kippur
  • il 6 ottobre è il giorno dell'amicizia germano-americana
  • il 31 ottobre è Halloween
  • il giorno dopo Thanksgiving è il Venerdì Nero, dedicato allo shopping
  • tra novembre e gennaio c'è Chanukkah, la festa della luce ebraica
  • dal 26 dicembre al 1° gennaio c'è Kwanzaa, festa africana
Cosa dici, la smettiamo qui? Ammetti però che sarebbe ingiusto non menzionare una quindicina abbondante di altre ricorrenze solo perché non sono festeggiate da tutti e non sono festive. E allora siamo giusti.
  • il 2 marzo il Texas celebra la sua (ex) Indipendenza
  • il primo lunedì di marzo l'Illinois celebra la memoria di Casimir Pulaski, un polacco che combatté nella rivoluzione americana
  • il 17 marzo la Contea di Suffolk e la città di Cambridge, entrambe nel Massachusetts, celebrano l'evacuazione delle truppe inglesi da Boston
  • il 15 aprile nelle Hawaii si festeggia Padre Damiano, missionario
  • il 16 aprile è festivo a Washington, in onore dell'emancipazione (degli schiavi)
  • il lunedì di Pasqua gli immigrati polacchi festeggiano il Giorno Umido
  • l'8 maggio il Missouri festeggia il Presidente Truman, natìo di Lamar
  • il 19 maggio a Berkely, California, si festeggia Malcolm X
  • il 20 maggio a Charlotte e nella Contea di Mecklenburg, in North Carolina, si festeggia la firma di una prima Dichiarazione d'Indipendenza che sarebbe stata firmata prima di quella ufficiale
  • il primo giovedì di giugno a New York ci sono le feste di Brooklyn e del Queens
  • Il 17 di giugno nella contea di Suffolk, Massachusetts, si festeggia la battaglia di Bunker Hill
  • tra il 21 e il 24 giugno gli americani di origine svedese festeggiano l'arrivo dell'estate
  • il 24 luglio nello Utah c'è la festa dell'arrivo dei pellegrini mormoni
  • a metà settembre i germano-americani festeggiano il Barone Friedrich Von Steuben che combatté con George Washington
  • il secondo lunedì di ottobre ancora a Berkely, California, si festeggiano le popolazioni indigene mentre il resto del Paese festeggia Cristoforo Colombo
  • la terza domenica di ottobre in Illinois, Michigan, Ohio e Wisconsin, si celebra il Giorno Dolcissimo, nel quale si fanno piccoli regali a chi si vuol bene
  • il 2 novembre gli immigrati messicani celebrano il giorno dei morti
Stavolta è fatta, giuro. Naturalmente esistono molte altre migliaia di feste locali, ma per quelle credo che i campioni mondiali siamo noi italiani.
Che conclusioni trarre da questo post? NESSUNA! A parte, naturalmente, che uno che passa tre ore a scriverlo e a verificare tutte le date proprio normale non deve esserlo. Ma questo già lo sapevi.