domenica 27 marzo 2011

Sulla Libia, senza dubbi


Sono nel sud-ovest della Francia, ai piedi dei Pirenei, per una settimana di spettacoli. Ieri sera guardavo in televisione una di quelle trasmissioni che spesso vedevo quando abitavo da questa parte delle Alpi. Tra gli invitati (che non si insultavano, né si interrompevano, né si trattavano gli uni gli altri da imbecilli) c'era Bernard Kouchner, ex-ministro degli esteri, e una giornalista del Figaro. Credo che la poverina non avesse l'abitudine degli studi televisivi. Comunque sia, ha incominciato a tirar fuori argomenti assurdi, tirati per i capelli e più abituali nei circoli pacifisti che nei giornali vicini al potere pur di contraddire Kouchner. Il quale Kouchner se l'è mangiata cruda, con gusto e leccandosi i baffi. 

Si trattava della Libia, argomento scottante sul quale, chissà perché, molta gente a sinistra  esita a decidersi. 

È su un settimanale indiano che consulto ogni tanto su internet, Outlook, che ho trovato l'articolo col quale mi trovo più d'accordo a proposito della Libia. L'autore è Uri Avnery, lo scrittore israeliano noto soprattutto come fondatore del Gush Shalom, il Blocco della Pace, movimento pacifista particolarmente attivo e mille volte ostacolato dai governi di Tel Aviv.
Scrive Avnery:

Il mio cuore è col popolo libico. (In ebraico, libi vuol dire il mio cuore).
Per me “non intervento” è una parola sporca. Mi ricorda la Guerra Civile Spagnola che si svolse quando ero molto giovane. (…)
Le democrazie occidentali rifiutarono risolutamente di intervenire e coniarono l'espressione “non-intervento”. In pratica non-intervento significò che che la Gran Bretagna e la Francia non intervennero, mentre lo facevano nel peggiore dei modi la Germania e l'Italia. La sola potenza straniera che aiutò i poveri democratici fu l'Unione Sovietica. Come l'avremmo saputo più tardi, gli agenti di Stalin sfruttarono l'occasione per eliminare i loro compagni combattenti — socialisti, sindacalisti, liberali e altri. (...)
Per qualcuno che viveva al tempo dell'Olocausto, specialmente per un ebreo, non vi possono essere dubbi.
Quando tutto fu finito, quando emerse l'orrenda vastità del genocidio, ci fu una reazione di protesta che non si è ancora placata. “Dov'era il mondo? Perché gli alleati non avevano bombardato le linee ferroviarie che portavano ad Auschwitz? Perché non avevo distrutto dal cielo le camere a gas e i forni crematori?” Queste domande non hanno fino ad oggi ricevuto una risposta soddisfacente.
(…) L'uso della forza militare per evitare che i nazisti uccidessero gli ebrei tedeschi — e i Rom — avrebbe certamente costituito un'interferenza negli affari interni della Germania. Si sarebbe potuto fortemente obiettare che gli altri paesi, e in particolare le loro forze armate, non avevano nessun diritto di intervenire.
Avrebbero dovuto intervenire? Sì o no? Se la risposta è sì, perché lo è per Adolf Hitler e non per questo piccolo Führer di Tripoli?
Questo ci porta naturalmente dritti al Kosovo.
(…) (Quando la Nato bombardò la Serbia) io applaudii pubblicamente, suscitando la costernazione di molti amici di sinistra, tanto in Israele che nel mondo. Loro insistevano sul fatto che i bombardamenti costituivano un crimine, in modo particolare perché erano portati avanti dalla NATO, che per loro era uno strumento del diavolo.
La mia risposta è che per evitare un genocidio sono pronto a fare un patto perfino con il diavolo.”

Sono d'accordo con Avnery, come ero d'accordo con lui all'epoca del Kosovo e prima ancora all'epoca di Sarajevo. Non mi faccio illusioni sui motivi dell'intervento alleato in Libia, né me ne faccio sui dubbi dell'ultima ora della Lega Araba, ma davanti a un incendio uno riempie un secchio d'acqua anche se è di un brutto colore, anche se l'acqua è sporca e anche se non l'ha fatto prima per altri incendi.

Tutto l'articolo di Avnery, ovviamente in inglese, su http://www.outlookindia.com/article.aspx?270962